lunedì 1 settembre 2008

Bartezzaghi e la creatività


Chi non ha mai fatto un cruciverba, un rebus, un anagramma o una pista cifrata? Proprio di enigmistica, giochi di parole e lingua creativa, ho parlato con Stefano Bartezzaghi, ospitato di recente dal Festival della Mente di Sarzana .
Figlio di Piero, curatore a partire dagli anni ‘50 del raffinato cruciverba a schema libero pubblicato a pagina 41 della Settimana Enigmistica, Stefano collabora con il quotidiano La Repubblica, per cui cura le rubriche Lessico e Nuvole, Lapsus e I soliti sospetti.

Creatività delle parole, quali sono gli aspetti e le possibilità che più l’affascinano di quest’ambito?
«La creatività applicata al linguaggio è un equivoco, con le parole si può fare molto senza per questo far nascere qualcosa dal nulla. Le parole non si creano, cambia solo il modo di usarle e quando si separano le cose dal loro significato, si entra in un mondo inedito che però già esiste, una dimensione a cui si accede tramite operazioni che a volte possono risultare anche buffe».

Il linguaggio è un sistema convenzionale di simboli. I giochi di parole e l’equivoco possono essere considerati un punto di vista alternativo a questo codice?
«A dire il vero la parola ha molti aspetti non convenzionali. L’operazione è separare il linguaggio dalla sua funzione apparente e scoprire tutte le altre, valenze che spesso restano nascoste soprattutto a causa della vita che si conduce. La vita della folla solitaria spesso impoverisce il linguaggio e ne fa vedere solo l’aspetto funzionale. In questo senso, sì, l’equivoco è un punto di vista alternativo».

Mi vengono in mente i calligrammi di Apollinaire e alcune opportunità esplorate dai futuristi: le parole hanno potenzialità incredibili. Che rapporto tra i giochi di parole e la cultura?
«Le parole sono l’elemento fondamentale della cultura e nel corso del ‘900 si è sfruttato al massimo il loro potenziale. Oltre ad Apollinaire e i futuristi, penso anche al cubismo. Le parole sono anche una grande quantità di forme grafiche e la cultura del secolo scorso ha abbracciato quel mondo di giochi linguistici che erano ai margini».

Il suo ultimo libro, l’Orizzonte Verticale, è stato progettato più di dieci anni fa ed è una storia a due dimensioni del cruciverba. Come è nata l’idea?
«Casualmente durante una conversazione con Lorenzo Fazio alla casa editrice Einaudi. Io a dire il vero pensavo ad un singolo capitolo di un libro, dopo le ricerche, però, è nato un progetto più grande. La storia del cruciverba si incrocia con i tempi della modernità: nasce a New York negli anni '10, durante la costruzione della metropolitana e dei grattacieli, compare per le prime volte nelle pagine dei quotidiani ed è il mezzo tramite cui il ceto medio misura la propria alfabetizzazione. E poi, dietro al cruciverba c’è un mistero: nato come una moda, tanto da soppiantare in America il diffuso mahjong, non è stato mai superato da null'altro. Si è diffuso in tutto il mondo combinandosi con le singole tradizioni nazionali: società e cultura ne hanno plasmato la forma».

Dato che molti fruitori se lo chiedono: come nasce un cruciverba?
«Dipende dalle varianti. Comunque tutto parte dall’incrocio, che è un’operazione che non può essere predeterminata. Magari si parte da qualche definizione, ma il grosso di queste si butta giù dopo che lo schema è completo. E tutto alla vecchia maniera: solo carta e penna, senza l'aiuto di alcun computer. Altrimenti l’enigmista perderebbe la parte più bella e maledetta della preparazione».

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