sabato 6 settembre 2008

La storia fatta dalle persone

Di recente su Il Venerdì, supplemento settimanale di Repubblica, è stato pubblicato un articolo di Alberto Custodero sul sommergibile Argo. Io vorrei raccontare come la memoria di quegli eventi sia giunta fino a me.

Prima di essere affondato a Monfalcone, nel luglio del 1943 il sommergibile si era imbattuto al largo di Messina in un incrociatore inglese modello Southampton da quasi diecimila tonnellate. Dopo aver lanciato i siluri, il battello si appruò e si rintanò sott'acqua. Solo per miracolo riuscì a salvarsi da corvette e motosiluranti nemici, che lo cacciarono per oltre 40 ore. Quando l'Argo arrivò al porto di Taranto, sulle colonne del Corriere della Sera, intrisa di retorica, questa fu la descrizione che ne diede Dino Buzzati: «la bandiera nera di preda sventola sulla torretta, una siepe di marinai è stesa in banchina sull'attenti, l'ammiraglio, all'equipaggio schierato sull'esile coperta ancora intrisa di mare, porta il grazie della Marina e della Nazione per quello che essi hanno compiuto».

Tra i membri di quell'equipaggio, anche un giovane genovese di appena vent'anni, ne avrebbe compiuti 21 a fine agosto, che già nel giugno di quell'anno si era distinto in acque algerine. Chiamato alle armi dopo la sciagurata entrata in guerra dell'Italia, proveniva da una famiglia che, al pari di tante altre, purtroppo, conobbe da vicino gli orrori del conflitto: suo fratello Gino era prigioniero inglese in Africa, mentre Pietro sarebbe stato internato nel campo di concentramento di Mathausen. Il nome di quel giovane marinaio era Francesco Pedemonte, detto Armando. Mio nonno.

A quel nocchiere, matricola N° 73764, soprannominato in seguito dai portabagagli della Culmv "U Pastasciuta", il Capo dello Stato, su proposta del Ministro della Difesa, conferì in data 22 ottobre 1947 la Croce di Guerra al Valore Militare. Questa la giustificazione dell'encomio: «imbarcato su sommergibile impiegato in importante e difficile missione di guerra contro il traffico nemico in zona particolarmente vigilata, contribuiva con perizia e coraggio alle azioni che portavano all'affondamento di un incrociatore da 10000 tonnellate. Acque della Sicilia 11 luglio 1943».
Pochi giorni dopo, il fascismo sarebbe finalmente caduto e, dopo la firma dell'armistizio, l'8 settembre 1943, per evitare che il sottomarino Argo cadesse in mani dei nazisti, il tenente di vascello Arcangelo Giliberti lo fece affondare nei cantieri navali di Monfalcone.

Quel giovane nocchiere genovese, al momento dell'armistizio, era in licenza. Quando si presentò al comando militare fu invitato a tornarsene a casa e ad attendere gli eventi. La storia di quei giorni è nota.
Dalle profondità del mare passò ai monti, unendosi saltuariamente a gruppi partigiani: «se le brigate nere mi prendevano – spesso raccontava in famiglia – mi fucilavano per diserzione».
La guerra finì. Il 2 giugno 1946 l'Italia divenne una Repubblica e, nei seggi elettorali, quel giovane marinaio conobbe una ragazza bionda che seguiva le elezioni per conto del Partito Comunista. Si chiamava Cesarina. Emilio Mantelli, suo padre, era un uomo dall'accentuato spirito libertario e ancora oggi, quando vado a trovarlo a Staglieno, leggo con emozione l'epigrafe del suo orgoglio: Ripudiai ogni dogma, ogni mistero che offuscare potesse il mio pensiero.
Francesco Pedemonte e Cesarina Mantelli, si sposarono nel 1948. L'anno dopo nacque mio padre.

Chi scrive si chiama come quel nocchiere. Mia madre decise di chiamarmi Francesco, lasciando il nome di Armando a quel marinaio, il soprannome con cui da tutti era conosciuto fin da bambino.
Francesco Pedemonte detto Armando, così è scritto. Anche sulla sua tomba.

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