giovedì 29 gennaio 2009

Il Principe strega il Meazza



Et voilà. Il Principe torna a colpir. A farne doglianza, questa volta, è il perfido Diavolo, con tanto di coda e corna, ma senza forcone. Il satanico arnese, al fin della lotta, non campeggiava più nelle diaboliche mani di Milanello: a cercarlo bene era in luoghi ben più remoti e reconditi !

Il Grifone, poco abituato al volo d'altura, iniziava l'aspra lotta timoroso degli alfieri rossoneri, soffocando la sua rapace indole e esponendosi eccessivamente al fuoco delle bordate lombarde. Solo la provvidenza, invocata come sempre dal devoto brasiliano, alleggeriva la portanza alle ali del mitico animale.
Ma chi l'ha dura la vince, e il paladino d'oltremanica, in un impeto vincente, disegnava una parabola velenosa che sembrava indirizzare la contesa in senso avverso.

Per necessità e lungimiranza, lo stratega di Grugliasco mutava aspetto alla truppa: il riposo e le ritrovate forze conferivano al Grifone quel nobile aspetto che tutto il regno ha finora rimirato e, armato di scimitarra e fioretto, conquistava il centro della lotta, costringendo la truppa del satrapo nano a chiudersi entro le barricate. Solo i cavalieri d'oltreoceano impensierivano la retroguardia rossoblù, ma l'impeto dei liguri guerrieri metteva a dura prova i vecchi difensori dirimpettai.
In questo franger di urla e metalli, si ergeva dal clamore la nobile figura del Principe di Baires, elegante come un cigno e spietato come le creature degli abissi. L'alfiere della riscossa dapprima scrollava le mura vacillanti della difesa avversaria, e poi riequilibrava le sorti della contesa con la precisione del calibro.

Al fin della disfida l'eroe sorride. E con lui un intero popolo, che gaudioso ne narra le supreme gesta.

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mercoledì 28 gennaio 2009

Il sequestro Moro


Dal 10 febbraio 2009 al Teatro Ambra Jovinelli di Roma va in scena Aldo Moro. Una tragedia italiana di Corrado Augias e Vladimiro Polchi. Ecco la mia recensione in anteprima.


Alle 9.15 del 16 marzo 1978, in via Fani a Roma, la Fiat 130 con a bordo Aldo Moro venne bloccata e crivellata di colpi. Cinque uomini della scorta uccisi e il presidente della DC sequestrato.
Aldo Moro. Una tragedia italiana inizia così, con una sequenza del rapimento tratta dal film Piazza delle cinque lune di Renzo Martinelli.
Tramite la riproposizione delle lettere di Moro, interpretate da Paolo Bonacelli, viene proposta un'attenta ricostruzione dei 55 giorni di prigionia del presidente democristiano.
Lo spettacolo ha il taglio del reportage giornalistico e, attraverso le didascalie recitate da Lorenzo Amato, vengono ordinati spezzoni di film (Buongiorno notte di Bellocchio e Piazza delle cinque lune di Martinelli), commenti, immagini d'archivio, lettere e documenti.
Agli interrogativi di Pasolini e Sciascia, si alternano i comunicati delle Br e lo strazio delle parole dello statista, fino al drammatico epilogo.

Lo spettacolo tende a porre l'accento proprio sulla vicenda umana, sulle concezioni che si confrontarono nell'emergenza di quei giorni.
Da un lato i sostenitori della ragion di Stato, decisi a non concedere alcunché ai rapitori, dall'altro i partigiani della vita umana, considerata come bene assoluto al di là di ogni valutazione.
Sono proprio le parole del prigioniero a portare dentro il dilemma, alla contrapposizione tra Polis e Pietas.
Le lettere indirizzate a Benigno Zaccagnini (segretario della DC), a Francesco Cossiga (Ministro dell'Interno), a Papa Paolo VI, alla moglie Noretta e alla figlia Agnese, ci restituiscono un Moro che è al contempo uomo politico, padre, marito e credente. Un uomo che vive nella paura della morte imminente, che supplica all'azione gli amici di un tempo e che pone, pesante come un macigno, il problema delle responsabilità.

«Lo dico chiaro: per parte mia non assolverò e non giustificherò nessuno» (lettera a Benigno Zaccagnini). Queste le parole che pesano sulle coscienze degli attori di una tra le vicende più controverse dell'Italia post-repubblicana.
E ancora: «Che la condanna sia eseguita, dipende da voi. Se voi non intervenite, sarebbe scritta una pagina agghiacciante nella storia d'Italia. Il mio sangue ricadrebbe su di voi, sul partito, sul Paese».
È quel voi a porre più vivida che mai la questione della colpa. Non solo quella materiale degli aguzzini, ma anche quella morale dello Stato.
E infine, nelle parole indirizzate alla figlia, si coglie il dolore del distacco, il disincanto di un uomo che ha lottato per la vita, di un padre sconfitto dalla ragion di Stato: «Mia dolcissima Agnese, volevo dirti (e lo faccio male) tutto il mio amore e l'angoscia di doverti lasciare. Ricordo la tua dolce faccina (campagna, fiori e altre cose). Ti sono stato sempre vicino con tutto il cuore, anche se posso avere sbagliato, posso non averti capito. Di qui qualche breve strillotto. Ma poi subito dopo il sorriso, l'abbraccio, la richiesta affettuosa. E l'attesa la sera, angosciata, finchè non fossi tornata» (lettera non recapitata ad Agnese Moro)».

Un teatro d'impegno civile che porta a riflettere, a documentarsi ma soprattutto a sentire.

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domenica 25 gennaio 2009

Un punto che vale oro



Un punto d'oro.
Il pareggio casalingo con il Catania può essere tranquillamente catalogato sotto la categoria bicchiere mezzo pieno. Vuoi perchè la squadra ha incontrato una giornata poco brillante, vuoi perchè l'espulsione di Ferrari ha complicato la partita, ma non presentarsi a San Siro con le mani vuote, ha un valore che va al di là del punto effetivamente raccolto.

La vigilia non era delle migliori: Banti ad arbitrare, opinione pubblica a sottolineare l'inviolabilità della porta di Rubinho e un ambiente, quello etneo, che proveniva da una settimana di lamenti.
I rossoblù non hanno certamente disputato la loro miglior prestazione: la formula con il doppio regista ha rallentato eccessivamente il centrocampo sottolineando, se mai ce ne fosse necessità, l'imprescindibilità di un mastino come Juric. I siciliani dal canto loro hanno saputo aggredire la linea mediana di Gasperini, imbrigliando le fonti del gioco genoane. E i risultati non sono tardati ad arrivare: tanti i palloni persi da Milanetto e pochi quelli recuperati da Motta, squadra poco propositiva in avanti e Catania a sfiorare il vantaggio già nel primo tempo. Il Grifone si fa vivo solo sul finale di frazione con una bella iniziativa del Pricipe e con la traversa colpita da Bocchetti.

Nella ripresa le cose si complicano e la terna arbitrale, pessima la conduzione di gara, sale in cattedra: prima il guardaline ferma erroneamente Jankovic, poi Banti non concede un rigore solare su Modesto e, infine, espelle Ferrari, ma questa volta giustamente, per doppia ammonizione.
Il Genoa accusa il colpo e capitola quasi subito: cross di Baiocco e Martinez puntuale infila di testa Rubihno. Imbattibilità violata e partita in salita.

Ma a questo punto, cuore e qualità rossoblù hanno fatto la differenza: Milito e Motta hanno tenuto a galla la squadra, mentre Rossi e Vanden Borre le hanno dato velocità. Sotto di un uomo e di un goal il Genoa si è fatto più intraprendente e rabbioso: ed è stato proprio il rientrante Milito a siglare il pareggio e a dare, nonostante i crampi, più di un grattacapo alla difesa etnea fino a fine incontro.

Che dire del Principe? Bello, elegante, letale, generoso, cinico e GOLEADOR. Musica per le orecchie del tifoso genoano, ma bellezza sfolgorante, anche, per gli occhi del ct Maradona. Ora senza paura a Milano...

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sabato 24 gennaio 2009

W di Oliver Stone


W come George W. Bush, o come Walker Texas Ranger?
Dopo aver visto il film di Oliver Stone, ho capito perchè l'ex presidente americano e il nostro attuale premier siano legati da amicizia quasi fraterna. Ma l'amarezza, quella no, è difficile da dimenticare: 8 anni di politica estera a conduzione rodeistica non si cancellano tanto facilmente.

Il lungometraggio trasmesso da La7, mi ha fatto riflettere. E sono intimamente convinto che quando un film riesca in quest'intento, abbia assolto alla sua funzione primaria. La dissoluta giovinezza, i problemi con la legge, l'alcolismo: Bush figlio ne esce come un uomo frustrato, costantemente angosciato dalla presenza ingobrante del padre e facilmente manipolabile. Il regista americano caratterizza umanamente il personaggio pubblico, dandogli anche un senso al di là dell'aspetto politico. Stone semina così quegli indizi che permettono allo spettatore di comprendere meglio l'operato di W: maschera ufficiale di Cheney & Company, usata per ammantare di santità la guerra profana del petrolio.
Iraq e religione, il binomio perfetto per capire. E i discorsi pubblici di Bush ne sono la testimonianza: intimamente persuaso della bontà della causa, se non fosse che la sua ottusità è stata causa di lutti e dolori, l'ingenuità con cui propone al mondo intero la funzione civilizzatrice degli Stati Uniti avrebbe del compassionevole.

E forse sta proprio qui il limite del lavoro di Stone: caratterizzare Bush come un pupo, una marionetta, corre forse il rischio di scioglierlo parzialmente dalle sue responsabilità. Di fronte a W, nonostante la critica del regista sia ferma e decisa, lo spettatore è quasi portato a limitare la propria accusa. Mentre l'operato di Bush, a parer mio, dovrebbe essere giudicato indipendentemente da queste valutazioni del tutto individuali. Le sue colpe non possono essere sminuite a causa della storia del singolo: ogni uomo su questa terra deve fare i conti con i propri demoni, ma non tutti si credono la mano armata di Dio. Bush uomo può anche provocare un senso di umana compassione, ma la storia, giudice supremo delle umane gesta, non annovera questa voce nel suo metro di valutazione.

Il film rimane comunque un prodotto di gradevole fruizione, anche se la formula documentaristica alla Michel Moore, rimane probabilmente lo strumento migliore per raccontare fatti cosi recenti e vicino al presente.

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domenica 18 gennaio 2009

Genoa: la realtà supera il sogno



Grazie.

Queste le sei lettere che, combinate assieme, meglio esprimono il magnifico campionato che il Genoa sta disputando. Al giro di boa, i rossoblù chiudono a 35 punti, +10 rispetto allo scorso campionato ma, soprattutto, si attestano al quarto posto che significa preliminari di Champions League.
Non è la descrizione di un sogno, nè la farneticazione di un pazzo. Genoani aprite gli occhi e godetevi il momento: è verità. Quella stessa realtà che in passato ha riservato bocconi amari, oggi, sembra ripagarci del mal patito. E sottolineo, sembra, perchè la prudenza con i colori che amiamo non è mai troppa.

A dare fiducia non sono esclusivamente le prestazioni, ma anche una serie di numeri che, solo una volta nel passato, erano stati infranti con tanta frequenza: 18 anni fa. Una vita, ma, per chi come me ricorda quel campionato, un'attimo: quello che serve per farlo affiorare alla memoria. L'ultima vittoria al Via del Mare, risaliva proprio al 1991: 0-3 e Tomas Skhuravy in gran spolvero. Stop. Mi fermo qui e lascio ai miei pochi lettori le somme dovute.

Che dire della partita?
Semplicemente perfetta. Il Genoa ha imposto da subito il suo ritmo. Davanti allo schermo, ogni tanto, non capivo, poi la regia seguiva il pallone e i lanci di Thiago Motta finivano puntualmente ai compagni di turno. Juric mordeva, Rossi e Mesto macinavano chilometri come Gebrselassie e Olivera si faceva apprezzare come uomo-assist: Mesto non ne approffittava, concedendo a Benussi il suo minuto di gloria.
Nonostante il Lecce abbia intrepretato il secondo tempo con maggior spirito agonistico, il destino della partita era segnato: e così è stato.

Quando dal basso della serie B, o anche da più in giù, vedevo Crespo, Del Piero o Mancini fare goal di tacco, mai e poi mai avrei pensato che Bosko Jankovic, alla stessa maniera, anni a seguire mi avrebbe fatto esplodere di gioia. Mai perdere la capacità di stupirsi: è proprio questo che rende la vita imprevedibilmente interessante.
Il raddoppio di Sculli, infine, è stata la ciliegina che ha evitato ai deboli di cuore di soffrire sino al 95'.

Che dire: prova perfetta! E concludo cosiccome avevo iniziato: GRAZIE GENOA. Comunque vada...

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sabato 17 gennaio 2009

Dio è fuori mercato


All'articolo 8, così recita la Costituzione Italiana: "Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge".
Evidentemente, però, non lo sono di fronte alla pubblicità.


In tempi di libero mercato, di libero resta ben poco e il mercato, soprattutto nella variante italiana, è soggetto a decisioni che suonano vagamente protezionistiche. A seguito delle indignate proteste di associazioni cattoliche e politici ferventi, capeggiati da Goffredo Plinio di Buglione, l'impossibilità di comprare uno spazio pubblicitario per gli atei della Uaar, suona come uno dei tanti fallimenti del liberismo. La dottrina economica del libero scambio, come canterebbero i Baustelle, ha i giorni contati.


Scherza con i fanti e lascia stare i santi
: la fede non si tocca e, tanto meno, è soggetta alle leggi di mercato!
Questo, in sintesi, l'insegnamento da trarre dalla vicenda. Il dogma, per sua definizione, è indiscutibile. E chi lo mette in discussione è immorale: a quasi mille anni dalla prima crociata, tanti e significativi passi in avanti sono stati compiuti. Zero.
Nella società del consumo tutto può, ed è stato, commercializzato. Ma di fronte a Dio, anche i potenti mezzi pubblicitari hanno dovuto chinare la testa. Dio c'è. E nessuna discussione. Al cospetto della fede, anche la pubblicità ha un'anima, tanto che una campagna può essere bloccata in nome di Dio: altro primato del tutto italico da esporre in bacheca!


Caro Dio, dato che non posso neppure scrivere che non esisti, mi rivolgo a te fiducioso di essere ascoltato: lo vedi il casino di Gaza, ebbene se ci sei fai qualcosa. Non mi raccontare, però, che il tuo disegno è imperscrutabile, perchè è da duemila anni che prendi tempo con la solita storia. Noi uomini viviamo nel mondo tangibile e qualcuno mi ha detto che con lo spirito, ormai, non si lavano neanche le scale.
Resto in attesa di una tua risposta.
Sempre tuo,
Figlio Dubbioso.

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venerdì 16 gennaio 2009

Gaza: quale tregua possibile?


A seguito della lettera di Alessio Rassi, già pubblicata sul blog, ricevo e inserisco il commento di Roberto Ursino.
Chiunque voglia intervenire sul dibattito israelo-palestinese, può farlo scrivendo a 2002fragiu@gmail.com. I commenti saranno tutti pubblicati sul blog.


"Ho letto l’articolo di Sofri: molto bello e in larga parte condivisibile. Alla fine si domanda: «Che il mio nemico si nasconda dietro scudi umani, mi autorizza a colpire? Potrò guardare quelle fotografie diffuse e ostentate dal mio nemico con una commozione compensata dalla persuasione che non è colpa mia?».
La risposta gliela avrebbe potuta dare Golda Meir, la Primo Ministro che nel 1972 dovette fronteggiare la strage degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco: «Forse un giorno potremo perdonarvi di aver ucciso i nostri figli, ma non vi potremo mai perdonare di averci costretto a uccidere i vostri».
Molto bella anche la lettera pubblicata sul blog, anche se un pò astratta e, rispetto ai fatti da cui, nasce il dibattito.

Mi spiego e premetto: la
pietas davanti ad ogni cadavere, e in particolare davanti ai corpi straziati di bimbi, è indiscutibile. In molti stati occidentali, però, l’anti-semitismo ammantato di anti-israelismo, continua ad essere molto presente e si è subito pronti a manifestare contro Israele (sarebbe bello vedere la stessa prontezza e lo stesso "fuoco morale" nella nostra società per le vicende del Darfur, o della Somalia o di Timor-Est). Forse perché in Italia non ci sentiamo odiati e minacciati di distruzione dai nostri paesi confinanti: la Svizzera, o l’Austria non sono soliti lanciare missili su Udine o Aosta, non riusciamo a capire bene certe sproporzioni!

Purtroppo i media, i politici e i commentatori in tv continuano a blaterare di pace, tregua, "sproporzione", non dicendo che siamo alle solite: Israele nasce il
14 maggio 1948, il giorno dopo, 15 maggio 1948, deve difendersi dagli attacchi congiunti di tutti i paesi confinanti che lo vogliono distruggere. Ed è sempre stato così, passando per la Guerra dei sei giorni, alla Guerra del Kippur, alla Guerra del Libano, per arrivare più recentemente alle azioni di Hamas e Hezbollah (di cui alcuni esponenti della sinistra italiana vantano l’amicizia). Come si fa a fare una tregua, a concordare una pace con chi ti odia, con chi ha messo per iscritto nel proprio statuto di nascita il tuo annientamento, con chi instilla fin da piccolo nei propri figli l’odio verso di te (attraverso perfino i cartoni animati), con chi, come scrive Sofri, «bersaglia da anni case, scuole, strade di una popolazione civile israeliana cui è impedita una normale vita quotidiana. Hamas giura la distruzione di ogni cittadino di Israele e di ogni ebreo sulla terra. Hamas addestra ed esalta gli assassini suicidi. Hamas si serve vilmente degli scudi umani, predilige bambini donne e vecchi, tramuta moschee e pareti domestiche in ripari di armi e mine».

Non si è ancora capito che queste persone non vogliono la pace? Perché la pace rischierebbe di portare la democrazia, di togliere potere e controllo, di togliere fonti di guadagno. Tutto sulla pelle del popolo palestinese che, prima per causa di Yasser lingua biforcuta Arafat, e adesso con Hamas, è la VERA VITTIMA dei loro stessi (pseudo)leader, che, uno Stato Palestinese, non ha mai voluto.
E allora? Che facciamo? Facciamo la tregua per cosa? Per consentire ad Hamas di rifornirsi di armi dai tunnel al confine con l’Egitto, a riorganizzarsi per, di nuovo, rompere la tregua e ricominciare a lanciare missili?

No, non ha senso: che
Tsahal vada avanti e distrugga ogni struttura e uccida ogni militante di questa formazione terroristica, visto che da quando si è ritirata dalla Striscia, nel settembre 2005, essa è diventata un campo di addestramento per terroristi e una base di lancio missili. Piangiamo allora tutte le vittime, disperiamoci per i bimbi strappati alla vita, ma cerchiamo anche le ragioni profonde di questa realtà."

Roberto Ursino

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domenica 11 gennaio 2009

Il Grifone mata il Toro



Genoa-Torino è una classica del calcio italiano: tifoserie gemellate, storiche tradizioni sportive e società che spesso il destino ha messo a dura prova fino al limite stesso della sopravvivenza sportiva. Le due formazioni, oggi, sono però squadre che giocano per obiettivi diversi: il Grifone sogna un posto nel calcio che conta, mentre il Toro deve fare i conti con una classifica a dir poco anemica. E in campo la differenza è stata a dir poco evidente.

Ancora orfano di Milito, Gasperini schiera un attacco inedito: Olivera punta centrale, riferimento per ali e centrocampisti, Sculli esterno destro e Jankovic a svariare su tutto il fronte d'attacco. Novellino, da par suo, risponde con la coppia Bianchi-Amoruso e con Rosina a loro sostegno.
Il leit motiv dell'incontro si palesa da subito: granata distratti sulle palle inattive e torri rossoblù ad approfittarne di testa. Al 7' è già Ferrari a provare, ma Sereni blocca sicuro sulla linea di porta. Sul fronte opposto, invece, il Torino si fa vedere al 16' con un tiro di Dzemaili, respinto da Rubihno, e con un colpo di testa di Bianchi che finisce a lato. La partita dei granata, in pratica, termina su queste occasioni sciupate.

La velocità di Jankovic, autore di una prova maiuscola, mette in costante difficoltà Di Loreto, mentre a centrocampo Thiago Motta diventa padrone del reparto. E al 18' il Genoa passa: calcio d'angolo ben battuto da Jankovic e Biava, approfittando dello spazio lasciatogli da Ogbonna, insacca di testa. Il Torino prova a reagire, ma non riesce ad arrivare al tiro: il tempo si conclude con il Genoa avanti per una rete a zero.

La ripresa è uno Sculli-show. Il ragazzo della locride, prima ruba palla a centrocampo servendo la palla del raddoppio sulla testa di Jankovic, poi, con l'uscita di Olivera, gioca punta centrale recuperando e combattendo su ogni pallone. Con il risultato in cassaforte, il Genoa rischia solo su una palla svigolata da Bocchetti e su un tiro di Stellone finito a lato. Per il resto, i rossoblù riescono a far circolare bene il pallone, esibiscono buona tenuta fisica e fanno correre a vuoto un Torino deludente soprattutto sotto il profilo dell'agonismo.
E allora, a chiudere in bellezza la prima partita del 2009, ci pensa Motta: nuovo calcio d'angolo, ennesimo stacco di testa e match che si chiude sul 3 a 0.

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giovedì 8 gennaio 2009

Caro Adriano...


Pubblico la bellissima lettera che Alessio Rassi ha inviato al quotidiano La Repubblica, dopo la pubblicazione dell'articolo Il sacrificio dei bambini di Adriano Sofri.


"L’odio chiama odio.

Lo dice il cinema da sempre in molte delle sue migliori rappresentazioni, lo dicono i libri di Storia, lo dicono le immagini che più di ogni parola sono in grado di mostrarci la realtà per quello che è.
Mi rivolgo a Lei, Adriano Sofri, al suo bellissimo articolo dal titolo Il sacrificio dei bambini. Mi rivolgo a Lei così come Sam Bicke - interpretato magistralmente da Sean Penn in The Assassiation of Richard Nixon - si rivolge al maestro Leonard Bernstein, con quell’impeto e ammirazione che sfociano, anche in questo caso, nella rassegnazione. Nella rassegnazione di un conflitto che vede nella morte dei bambini la sua più alta ferocia.

L'orrore ha un volto. In questo periodo più volti che si moltiplicano sugli schermi di tutte le tv come una goccia di petrolio in mare. E’ in essa, nella morte di un bambino, di qualunque volto innocente, che si dovrebbero trovare le motivazioni per non perpetrare ulteriormente eccidi simili. Lei cita perfettamente la cosiddetta “strage degli innocenti” di Erode e i dubbi sulla sua veridicità. Francois Marie Arouet, più comunemente Voltaire, scrisse che «La storia è il racconto di fatti ritenuti veri, al contrario della fabula che è il racconto di fatti ritenuti falsi». Ma anche una strage di 20 fanciulli o di 10, o di uno soltanto è un fatto talmente vero e reale che dovrebbe insinuarsi nella coscienza di ognuno di noi come il peggior incubo a coglierci di notte dopo una giornata piacevole. Invece il conflitto in quella tonnara che prende il nome di Gaza ha, nell’assuefazione alla morte dei suoi spettatori, la peggiore delle armi di distruzione di massa. O per lo meno anestetizza le coscienze di mondi tanto lontani quanto “esotici” a chi si ripara al di qua dello schermo.

La morte ci rende tutti uguali, affermazione banale di questi tempi. Ecco la relatività di cui parlava Einstein.
La morte non dovrebbe essere cosa intima? Non dovrebbe renderci sì uguali quanto diversi gli uni dagli altri? Eppure nel vedere i corpi esanimi di quei bambini, i loro abiti sdruciti, sozzi di polvere e sangue fa pensare che per loro, per il loro popolo e per tutti quelli come loro, rei di essere dei “civili”, la pace forse non si troverà neanche al di là delle acque oscure. E per quanto uno possa sforzarsi di cercare le risposte sa che non cambierà nulla e che le bombe continueranno a mietere vite la cui unica preoccupazione dovrebbe essere non quella di essere necessariamente felici, ma uguali ai vivi. I sopravvisuti cresceranno nell'odio. In quell'odio che da sempre chiama odio come un virus della follia. E non ci sarà pace perchè non c'è coscienza.

Commodiano scrisse: «E’ tempo di credere alla vita, in tempo di morte». Di sicuro non qui, non ora. L’unica cosa che possiamo fare, come ha scritto, è continuare a pubblicare le immagini, la realtà."

Alessio Rassi

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