venerdì 31 ottobre 2008

Odifreddi e Nyman: l'incontro


Non capita spesso di incontrare Michael Nyman. Non capita spesso di incontrare Piergiorgio Odifreddi. È ancora meno probabile, sopratutto se si vive a Genova, incontrarli assieme.

Ieri, a dispetto di tutti i calcoli aleatori, sono stato testimone dell'istante in cui hanno fatto conoscenza uno dell'altro. Il pianista inglese, rappresentante del minimalismo in musica e autore di composizioni capaci di toccare il profondo, alla pari del matematico piemontese, è stato uno degli ospiti principali della sesta edizione del Festival della Scienza.

L'incontro è avvenuto a Palazzo Ducale: Odifreddi aveva appena terminato di consumare il suo pranzo, il musicista, appena giunto nel capoluogo ligure, stava invece accingendosi a prendere la forchetta. Un incontro fugace, una breve presentazione, fatta di poche parole scambiate in inglese e alla presenza di pochi intimi. E al tavolo di fronte io, che ho conosciuto il musicista attraverso i suoi dischi durante un'estate della mia giovinezza, e che ho imparato ad apprezzare il pensiero laico di Odifreddi attraverso libri, articoli e interviste.

Una curiosa circostanza.

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giovedì 30 ottobre 2008

Col Cagliari, vittoria e sofferenza


Dopo la bella prestazione di San Siro, ripetersi sugli stessi livelli era molto difficile. E lo era ancor di più perchè, dalla partita del Meazza, erano appena trascorsi due giorni. La vittoria contro il Cagliari va quindi presa così, come è maturata: con tanta sofferenza e qualche sbavatura di troppo.
Ma non è il caso di fare i sofisticati: 16 punti dopo nove partite e un calendario decisamente ostico, ebbene, sono il ruolino di marcia di una squadra che, nonostante la rivoluzione estiva, ha saputo trovare in tempi brevi la cosiddetta quadratura del cerchio.

Dopo la bella vetrina milanese, il Cagliari era decisamente il peggior avversario da incontrare a Marassi. Rispetto a molte altre squadre della fascia medio-bassa, i sardi sanno meglio giocare a pallone e elementi come Fini, Conti, Acquafresca e Jeda sono giocatori di buon livello. La squadra di Allegri ha dimostrato di sapersi chiudersi bene nella propria trequarti e di mettere la gamba anche oltre il lecito consentito.
I ragazzi di Gasperini, dal canto loro, hanno iniziato il match sotto ritmo e sono entrati in partita a scoppio ritardato. Gli isolani hanno così usufruito di qualche tiro dalla distanza e di un’innocua supremazia a centrocampo. Piano piano il Grifone ha affilato gli artigli, ha preso in mano le redini del gioco e ha sfiorato il gol con Gasbarroni. Il vantaggio di Papastathopoulos, che per dovere di cronaca era in netto fuorigioco, ha suggellato una superiore capacità di manovra e una migliore impostazione di gioco, ribadita in seguito da Criscito e Sculli che hanno sfiorato il raddoppio con tiri da lontano.

Dopo il riposo, la migliore espressione del Genoa è stato il bellissimo goal di Thiago Motta: un’autentica perla di qualità cristallina. Il brasiliano si è avventato su un rimpallo e ha trafitto Marchetti con un diagonale liftato da vedere e rivedere su Youtube. Da quel momento i rossoblù hanno cominciato a pagare la stanchezza accumulata: il raddoppio invece che spegnere il Cagliari lo ha rivitalizzato. Prima il palo di Conti e poi il goal di Bianco hanno riaperto il match. Gli isolani, nonostante in 10 per l’espulsione di Fini, hanno continuato a spingere fino e oltre il 90°, ma Ferrari e compagni hanno retto senza troppi affanni, dimostrando che questa squadra, oltre la qualità, sa raggiungere l’obiettivo anche con il cuore.

Unico appunto di giornata, ma si tratta di un’inezia, è lo scarso cinismo in alcune fasi della partita: diversi contropiedi potevano essere gestiti meglio, chiudendo un match che di fatto è rimasto in bilico sino alla fine.
Ora avanti con Udine, e secondo una vecchia legge del calcio: squadra che vince in trasferta
Ai posteri larga sentenza.

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domenica 26 ottobre 2008

Genoa: punto meritato al Meazza


Il 30 aprile 2006 il Genoa perdeva in casa contro il Cittadella e veniva condannato alla bolgia dei play off. Quegli stessi colori, due anni e sei mesi dopo, sono stati elogiati nella Scala del calcio da mister Mourihno, allenatore del Chelsea ai tempi in cui Vavassori guidava il Genoa dalla C alla B. Una semplice considerazione per gustare ancora più a fondo il preziosissimo punto guadagnato a S.Siro.

Il Genoa visto al Meazza è stato il migliore di quest'inizio di campionato. Una prestazione maiuscola per intensità, applicazione, grinta e soprattutto gioco. Difficile fare una pagella dei meriti, gli undici in campo hanno tutti disputato un' ottima partita. Ma due giocatori si dividono la palma del migliore: Thiago Motta e Mesto.
Il brasiliano ha dettato legge a centrocampo, rivaleggiando alla pari con campioni del calibro di Stankovic, Zanetti, Muntari e Maicon. Ha dato calma e ordine al centrocampo, e talvolta anche profondità all'attacco. Le sue sono spesso state intuizioni illuminanti, vero signore del centrocampo ha retto la mediana anche dopo l'espulsione di Juric. D'altro lato Mesto ha disputato la sua migliore prestazione in rossoblù, esprimendo grande corsa, possesso palla e tiro. Peccato solo per la poca precisione sulla respinta di Julio Cesar.


Con un Palladino rimasto a casa, Gasperini ha costruito il suo capolavoro tattico partendo dalla difesa. Ferrari, Criscito, Papastathopoulos e Biava hanno chiuso ogni spazio, sia che gli avversari fossero Ibrahimovic, Quaresma e Adriano o, come nel secondo tempo, Cruz, Balotelli e Obinna, il reparto difensivo ha concesso davvero poco agli attaccanti neroazzurri: solo una traversa che ha pareggiato il conto con quella colpita da Mesto nel primo tempo.
Rossi è forse stato un pò meno lucido del solito, ma i crampi con cui è uscito la dicono lunga sulla sua applicazione. Juric e Motta hanno aggredito costantemente il portatore di palla, impedendo alla manovra interista di svilupparsi nella sua interezza, Sculli ha disputato la solita partita tutto cuore e corsa mentre menzione a parte merita Milito: il Principe non segna da due turni, ma la qualità delle sue prestazioni è in costante crescita. Punto di riferimento di tutta la manovra rossoblù, ha impegnato severamente Julio Cesar con diverse giocate dalla distanza. Buone anche le prove di Bocchetti e Vanden Borre.


Finalmente il Genoa ha ripetuto lontano dal Ferraris le prestazioni già apprezzate a Marassi. Il punto è strameritato, specialmente se si tiene conto che la squadra ha disputato quasi tutto il secondo tempo in inferiorità numerica. Gasperini si goda il momento: a Milano anche Special One Mourihno gli ha fatto i complimenti!

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sabato 25 ottobre 2008

Opinioni sul '68


I am he, as you are he, as you are me, and we are all together
(I am the Walrus, Beatles, 1967).

A distanza di quarant'anni, credo siano queste le parole che meglio riassumano il fermento sessantottino. Nato nel 1981, faccio parte anch'io di quelle generazioni che hanno conosciuto il '68 solo tramite film, libri, giornali e immagini d'archivio. Ho provato a riflettere su fatti storici, ho sentito canzoni, ho sfogliato libri e giornali e sono arrivato alla conclusione che lo spirito di quell'anno ben si racchiuda nella parola partecipazione. Un esserci che non si esauriva nella retorica degli slogan, ma che rivelava un forte desiderio di condivisione sociale, culturale e politica. Chi allora partecipò al movimento, oppresso dalla costante minaccia atomica e schiacciato tra due sistemi sociali che non lasciavano spazio a coralità giovanili, desiderava con-dividere.


E oggi, che i tempi di comunicazione si sono ridotti, i giovani che giudizio ne danno
?
«Se penso al ‘68 - sottolinea Laura - mi viene in mente il maggio francese, la lotta, i film di Goddard. Un momento di intensa attività culturale e politica. Un' esperienza sì italiana, ma soprattutto internazionale».
Cultura quindi, ma anche impegno sociale. «Più che il '68 in sé - osserva Simone - a me restano indelebili le lotte operaie dell'anno dopo. Gli studenti all'uscita delle fabbriche, i lavoratori che si incontrano con gli intellettuali, insomma un momento di presa di coscienza culturale».


Quali però le immagini, le parole e i suoni che restano di quel periodo
?
«Per me - risponde Erika - il '68 è sinonimo di libertà, uguaglianza e diritti. Principi che hanno interessato culture e paesi diversi tra loro. L'anno che segna la nascita del mito di Che Guevara, che vede il rifiuto della guerra in Vietnam, ma anche l'anno della primavera di Praga. Non solo ribellione e contestazioni studentesche, quelli - continua - erano gli anni di Joan Baez, Bob Dylan e Janis Joplin. John Lennon cantava Lucy in the Sky with Diamonds e Jimi Hendrix suonava la chitarra con i denti. Ma anche gli anni di Allen Ginsberg e dell'università di Berkeley. Se penso alla speranza che avevano i giovani allora - conclude - la realtà di oggi mi sembra ancora più triste».


Questa data ha significato anche cambiamento di costumi e idee. C'era una volta il west, La guerra di Piero, ma anche divorzio e minigonne.
«Se penso al Sessantotto - dice Anna - mi vengono in mente camicioni a fiori, capelli sciolti, dibattiti, chitarre sui prati e corse per scappare alle guardie. Ma anche libertà. Come diceva Gaber, libertà è partecipazione, possibilità di far sentire la propria voce: quella degli studenti, per essere coinvolti nei programmi di studio e nei metodi di insegnamento, quella delle donne, per poter scegliere se restare o meno con un marito-padrone e disporre autonomamente del proprio corpo, e quella dei popoli del Terzomondo, per il diritto a non sottomettersi ad un neocolonialismo fondato sullo scambio ineguale. Di tutto questo - conclude - in Italia credo sia rimasto ben poco. Forse una serie di diritti riconosciuti solo sulla carta, ma perennemente negati e sottovalutati».Quale quindi il significato, il messaggio e l'eredità di quell'anno? «Delle idee di allora - risponde Luca - nella società di oggi è rimasto poco. Sicuramente la produzione culturale continua ad avere validità, ma il messaggio del '68 ha senso solo se calato in quel momento storico. Riproporlo oggi sarebbe un'operazione azzardata».


«Secondo me - interviene Matteo - è necessario distinguere cosa il Sessantotto sia stato in America e cosa invece in Europa. Oltreoceano fu opposizione alla guerra in Vietnam e lotta contro la segregazione razziale, da noi, invece, è probabilmente andato più a fondo soprattutto nell'analisi degli schemi sociali esistenti. Dal punto di vista macroeconomico - continua - il Sessantotto è uscito sconfitto. La sua eredità più proficua è probabilmente nel costume, nel concepire un nuovo modello di famiglia, l'inizio dell'emancipazione femminile e la lotta per il divorzio. Questi gli aspetti che forse hanno inciso maggiormente nella realtà italiana».


L'analisi di un fenomeno complesso e globale come il '68, un movimento che ha interessato tutto il mondo occidentale, è un compito difficile da assolvere. Provo quindi a concentrare l'attenzione sul nostro paese.
«L'Italia - precisa Roberto - assieme alla Francia è il paese che ha visto la maggior partecipazione popolare. Le istanze dei manifestanti erano di grande importanza: partecipazione, coinvolgimento, ma soprattutto maggior usufrutto di quei benefici che la società italiana aveva goduto con il boom economico. Pacifismo, antirazzismo e rifiuto del potere come strumento di oppressione. D'altra parte - continua - ci furono anche aspetti negativi: l'incapacità di produrre risultati e programmi concreti e un'interpretazione scorretta di alcuni fenomeni che avvenivano lontano dal nostro paese».


In conclusione, riporto il giudizio che ne da oggi, con una certa amarezza, chi a quegli anni ha partecipato
.
«Dal punto di vista politico - sostiene Gianni - non è rimasto niente, anzi, molte delle figure che sono uscite dal movimento hanno preso strade opposte ai valori di quel periodo, una parentesi idealista sconfitta dalla storia».


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domenica 19 ottobre 2008

Biava stende il Siena


Il Genoa riprende il campionato laddove lo aveva lasciato prima della sosta: dalla vittoria. Molti i giocatori rossoblù che in questi giorni hanno vestito le maglie delle rispettive nazionali e pochi gli allenamenti a disposizione di mister Gasperini per testare la formazione da schierare contro il Siena. Per questo motivo i punti raccolti contro la formazione toscana hanno un valore particolare.

Soprattutto nel primo tempo la prestazione del Genoa è stata entusiasmante: velocità, rapidi cambi di gioco, profondità e scambi in spazi ristretti hanno esibito un Grifone che, contro squadre di media serie A, per gioco espresso si pone obiettivamente uno scalino avanti alla fascia in questione. Milito non ha trovato il goal, ma, come al solito, è stato costante punto di riferimento per i compagni di reparto, ogni azione di attacco è passata dai suoi piedi e solo un Curci in splendida forma ha evitato alla formazione senese di capitolare più di una volta. Palladino è finalmente il giocatore che in molti ricordavano, Mesto ha fornito una prova di buona intensità e Thiago Motta, che ha sostituito uno sfortunato Milanetto, è davvero un giocatore fisicamente recuperato.
Il goal di Biava è arrivato da calcio d'angolo, ma le azioni costruite dal Grifone per incrementare il vantaggio non si contano. Forse l'unico neo della partita è stato proprio quello di non saperla chiudere, concedendo qualcosa di troppo allo spettacolo.
Ma che diamine, vedere il Genoa di questi tempi è divertimento assicurato!


Nel secondo tempo la squadra di Giampaolo è entrata più determinata sul rettangolo di gioco, mentre alcuni singoli del Genoa hanno risentito le fatiche della settimana internazionale. I toscani con Galloppa hanno colpito un palo, ma nel complesso la linea difensiva eretta da Ferrari, Bocchetti, Criscito e Biava ha retto alla perfezione.
Le partite si vincono anche soffrendo e gli undici di Gasperini, nelle ultime due uscite casalinghe, hanno esibito tenacia da vendere. Dopo Firenze era importante dimostrare di che pasta fosse fatta questa squadra.
Non c'è molto da aggiungere ad una partita gestita con qualche apprensione di troppo, ma tutto sommato condotta con grande sapienza e agonismo nel l'arco dei 90 minuti.


Per concludere vorrei spendere parole di elogio per
Thiago Motta. Il brasiliano è subito entrato in partita, dimostrando prontezza e buona visione di gioco; a centrocampo è veramente l' uomo di spessore che unisce quantità e qualità. Milanetto si riprenda senza fretta, in mezzo l'emergenza non spaventa!

Guarda la sintesi di Genoa-Siena



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mercoledì 15 ottobre 2008

Paese che vai...


Pizzini e rosari: magistrati corsari! Autodafé già visti, attenzione, ci son i terroristi. Coerenza e libertà, latitano in questa età.
Che dire, che fare? C’è un po’ di democrazia da esportare. Bombe intelligenti, governi reticenti, volenterosi, acquiescenti. Uomini dementi, spettacoli deprimenti, che diamine: evviva i Parlamenti!

Una, due, tre famiglie? A giurare davanti a Dio, o a giocare con le biglie!
Tic tac, tic tac: lavoro esaurito, un’altra somministrazione se vuoi essere guarito. Schiacciato dal lavoro? Per favore non parliamone, un pò di decoro. Onorevole indagato? No: al di sopra di ogni reato!

Uccidi il padre e disonora la madre: 5 minuti bastano in tv se ti va di sfondare. Subito a chiedere perdono, dal confessore riceverai assoluzione e osceno dono!
Ma non ti sognare di manifestare, il Parlamento è un’alcova da provare.


Alle rime mie non credere, il paese che racconto è tutto da vedere.

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domenica 12 ottobre 2008

Migranti: identità ed integrazione


Alcuni mesi fa, in occasione del convegno Giovani e migranti nelle città globali - Culture, identità e appartenenze, a cui hanno partecipato studiosi provenienti da diverse parti del mondo, ho contattato Francesca Lagomarsino, sociologa e assegnista di ricerca, collaboratrice di Luca Queirolo Palmas, docente di Sociologia dell'Educazione e Sociologia delle migrazioni presso la facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Genova. Credo che l'intervista sia ancora molto attuale. Eccone il contenuto.

Identità, culture e senso di appartenenza. Concetti che portano a riflettere sui vari modelli di integrazione: qual'è il vero significato del termine?
«I modelli - risponde la dottoressa Lagomarsino - sono sostanzialmente tre. Il primo è quello assimilativo, dove uno dei due soggetti coinvolti nel processo dismette la propria identità e assume cultura, costumi e stile di vita dell'altro. Il secondo è quello pluralista, dove entrambi i gruppi godono di stessi diritti ma restano di fatto separati, ognuno mantiene la propria identità senza di fatto operare alcuna interazione. Il terzo - conclude - è quello interculturale. Un modello che prevede il cambiamento di entrambe le parti attraverso uno scambio reciproco».

L'ultima interpretazione sarebbe il fine a cui aspirare, ma il cammino mi sembra lungo e tortuoso. Per strada spesso sento dire: «con quella gente lì non può esserci dialogo». A colpirmi non è tanto l'esclusione del confronto, ma piuttosto il riconoscere qualcuno diverso, estraneo dal proprio sentire. Una contrapposizione che rasenta quasi lo scontro di identità e mi chiedo se la società italiana sia pronta al modello multiculturale?
«Sicuramente - risponde - i processi di cui stiamo parlando non si realizzano in tempi brevi. L'Italia conosce l'emigrazione da poco e la creazione di una società multietnica non avviene nel giro di pochi anni e indubbiamente la paura è un fattore con cui confrontarsi».

La paura. Questo sentimento, soprattutto se indirizzato nei confronti dei cittadini stranieri, può essere considerato un sintomo?
«Non si può negare che sia un indizio, alimentata da moltissimi fattori: precariato, difficoltà economiche, incertezza del futuro e anche da un certo sensazionalismo mediatico. Non è tanto paura dell'altro in sé, quanto delle possibilità che l'altro può sottrarre al singolo».

Si spieghi meglio.
«Abbiamo constatato - chiarisce - come molti genovesi abbiano badanti straniere e, intervistati a proposito, tendano a dare una valutazione positiva del rapporto con il cittadino straniero. Diversa, invece, l'opinione che hanno del gruppo. C'è uno stacco tra il processo individuale e quello collettivo. Insomma, si pretende che i cittadini stranieri ottemperino solo a doveri. Il lavoro da fare - conclude - sta nel passaggio dal particolare al generale».

Nella nostra città sono molte le realtà che operano per una maggiore coesione sociale. Mi riferisco ad associazioni, sindacati e patronati che si impegnano ogni giorno per ridurre i disagi dei cittadini stranieri, soprattutto con la burocrazia dei permessi di soggiorno. A me pare ci sia un certo scarto tra l'atteggiamento locale e quello nazionale.
«Non posso parlare - sottolinea - per tutte le realtà italiane. Posso però dire che a livello nazionale i fondi stanziati per l'integrazione stridono con gli intenti dichiarati. Investire in politiche inclusive è fondamentale per prevenire il disagio».

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martedì 7 ottobre 2008

Giù le mani dalla movida


Movida sì, movida no. Locali a mezzo servizio o per tutta la notte? Questo il problema.
La dicotomia amletica che sta animando il pubblico dibattito cittadino, mi ha portato a riflettere, cercando di capire le ragioni dell’una e dell’altra parte. A dirla tutta non è facile sciogliere il nodo gordiano che trova contrapposte le due opposte fazioni: da un lato la vitalità dei carruggi è il valore aggiunto della notte genovese, dall’altra i residenti del centro storico si trovano ad affrontare un manifesto disagio ambientale.
Non semplice, quindi, dirimere la questione. Senza contare che il dialogo non è certamente incentivato dai divieti a grappoli che si abbattono sulla Superba. Locali chiusi, niente passeggiate in centro con una lattina in mano e, udite udite, un giro di chiave alla prostituzione. E che le puttane non si lamentino: con tutti i soldi che evadono! Non sono mie parole, ma di un autorevole esponente della giunta comunale.

Comunque, la questione è seria
. Perché pone il tradizionale problema sui punti di aggregazione, giovanile e non, nella nostra città. Sono nato e vivo tuttora in via Venezia, quartiere San Teodoro, e negli ultimi 15 anni ho assistito ad una lenta ma progressiva diminuzione degli spazi in questione. La biblioteca Rapetti ha chiuso da tempo, il campetto di via Digione è diventato un parcheggio, anche quello oratoriale ospita macchine, mentre la vecchia fabbrica del ghiaccio in piazza Raffaele Sopranis, storico edificio di interesse industriale, è diventato un ecomostro con Super Basko e parcheggi sotterranei. Anche i più anziani hanno pagato dazio: il sagrato dell’Anpi, dove gli avventori bestemmiavano per una carta calata male, non esiste più. Al suo posto sempre automobili.

Ai quartieri popolari urgono punti di incontro
, dove vedere gente e conoscere il prossimo, luoghi di discussione, dove avvicinarsi alle culture altre senza paure banali e immotivate. Questa la soluzione per l’intolleranza: la conoscenza reciproca. I cittadini stranieri non sono soltanto badanti o lavoratori, sono persone con una storia alle spalle, e magari se avessimo la possibilità di conoscerci, troveremmo tratti che ci uniscono uno all'altro. Ma purtroppo non esistono tali spazi e pure la chiesa ha abiurato il suo credo per abbracciare quello dell’accumulazione di capitale. I quartieri, oggi, sono semplici dormitori. Non si vivono più.

Ben vengano le Notti bianche e l’Urban Lab nelle sue molteplici sembianze, soprattutto se rappresentano una vetrina nazionale per Genova e un miglioramento della qualità della vita, ma non dimentichiamo che i genovesi vivono ora e 365 giorni all’anno. L’arena della movida, con i suoi pregi e tanti difetti, è uno dei pochi punti di aggregazione all’ombra della Lanterna, se morisse, oltre a riportare il centro storico indietro di 15 anni, diminuirebbe l’appeal di una città già in fase di decremento demografico. Una soluzione potrebbe essere la diversificazione, incentivando la vitalità anche nei quartieri e sostenendo la rivalutazione di zone destinate a diventare problematiche nel giro di alcuni anni.
Ma fino a quel giorno: nessuno uccida la movida. Almeno che il Tallone di Ferro non ci preferisca in casa, sulla poltrona e davanti alla tv assuefatti alla banalità catodica.

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domenica 5 ottobre 2008

Genoa: a Marassi cade il Napoli


Il Genoa torna a Marassi e per la terza volta fa valere la legge del Ferraris. La nuova vittima, dopo Milan e Roma, si chiama Napoli. Pronti via e i partenopei sono già in vantaggio. Rossi perde palla a centrocampo e Lavezzi, con la complicità di Criscito e Biava, capitalizza al massimo l'ingenuità della difesa. Partita in salita e squadra che nei primi 20 minuti soffre il gioco del Napoli: in difesa si sente l'assenza di Ferrari, mentre il centrocampo è monopolio di Hamsik e Gargano. I rossoblù, orfani di Milanetto e Gasbarroni, giocano molto sulle fasce, mentre al centro solo Juric recupera palloni preziosi. La squadra cresce con l'andare dei minuti, anche se la difesa ogni tanto sbanda e solo un miracolo di Rubinho impedisce a Denis di chiudere virtualmente il match.

Ma il Genoa è squadra sveglia e pronta a sacrificarsi: Sculli, oltre a proporsi come terzo di attacco, gioca da centrocampista aggiunto, Papastathopoulos conferisce sicurezza al reparto arretrato, mentre Milito è sempre in agguato e solamente un'errata segnalazione del guardalinee nega al Principe la gioa del goal. Solo Marco Rossi, in un ruolo non suo, e Criscito, ingenuo il suo tocco di mano in area di rigore, sembrano sotto tono.
La partita cresce di intensità, prima Sculli e poi Palladino impegnano Gianello e solo la terna arbitrale pare non reggere il ritmo della partita: il fallo di Maggio su Modesto sarebbe da espulsione diretta, ma il fischietto non concede neppure il fallo. Il pareggio di Sokratis rappresenta il giusto premio per una squadra che dopo lo svantaggio, e dopo il rischio di una nuova capitolazione, ha saputo reagire e riversarsi nella metà campo partenopea.

Il secondo tempo continua sulla falsariga del primo con i rossoblù in spinta sull'acceleratore e alla ricerca della vittoria. Il Genoa, dopo l'ingresso di Bocchetti, è più stabile in difesa e trova in Sculli un impensato ispiratore della manovra: al 51' è suo il lancio che innesca Milito, il Principe attira su di sé due difensori e con una magia scarica su Palladino che insacca alle spalle di Gianello.
Gli undici di Gasperini esprimono buon agonismo e circolazione di palla, a centrocampo Juric limita i danni, la difesa trova in Papastatopoulos un vero leader e Palladino è finalmente in palla. Solo le progressioni di Lavezzi continuano a mettere in difficoltà Biava e compagni: in una di queste Rossi lo cintura e Dondarini estrae un rosso tutto sommato discutibile.

Genoa in dieci e tutti nel fortino a difendere il vantaggio? Assolutamente no.
La squadra dimostra carattere e si assesta
: Milito in attacco è costantemente in agguato, Mesto, oltre ad essere prezioso in chiusura, si propone con continuità sulla trequarti avversaria, Sculli randella e recupera palloni a supporto di Juric che è più libero di impostare. Alla mezz'ora è proprio il croato ad andarsene sulla fascia sinistra e a crossare al centro, dove Milito insacca di testa alle spalle di un incerto Giannello.
Tre a uno e partita finita? Nuovamente risposta negativa. Il Napoli non ci sta e il neoentrato Pia, scappato a Criscito sulla fascia, fornisce a Denis il pallone della speranza: Biava cade e El Tanque insacca di potenza alle spalle di un incolpevole Rubinho.

L'ultimo quarto d'ora offre un finale incandescente: Pià reclama un dubbio rigore, Papastatopoulos viene giustamente espulso per somma di ammonizioni e Rubihno vola all'incrocio su colpo di testa del solito Denis. Ma il Grifone sa soffrire e il fortino regge fino ad oltre il cinquantesimo minuto del secondo tempo. Finisce 3-2, e vittoria assolutamente meritata.
Resta il rammarico per una direzione arbitrale assolutamente insufficente: molti gli episodi contestati, alcuni a sfavore del Napoli, ma molti anche a discapito del Genoa e una gestione dei cartellini veramente incomprensibile.

Buona la prestazione del Grifone
, ora è necessario offrire continuità di prestazioni anche in trasferta, proponendo la stessa intensità di gioco anche lontano da Marassi.
La strada è segnata, basta seguirla
.

Guarda le highlights di Genoa-Napoli

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venerdì 3 ottobre 2008

Stranieri: salvateci dagli italiani



Per la prima volta di fronte al Colosseo, alcuni giorni fa, mi sono commosso. Alle mie spalle ho percepito il senso della storia, il valore di una civiltà di cui faccio parte e, stupefatto, ho pensato che l'Italia potrebbe davvero essere il più bel paese del mondo. Il condizionale era d'obbligo, il tempo verbale tutto sommato più coerente per esprimere le diverse opzioni del reale, e nel caso della nostra penisola, quello più calzante per manifestare il grado di ipotesi in questione: l'irrealtà.
Avrei voluto titolare questo intervento L'Italia che vorrei, ma alla fine ho ripiegato su una frase che ho letto sul muro di un palazzo, una provocazione che ben esprime lo stato d'animo di chi ama il Belpaese, ma allo stesso tempo ne è spaventato. Sì, io ho paura: temo l'Italia e gli italiani.

Ho deciso di rimanere nel mio paese perchè qui ho tutti gli affetti più cari, ma non è più tempo di tacere, non voglio essere ricordato come un complice dell' in-civiltà che sfrutta, picchia, uccide ed emana leggi autoreferenziali. Userò l'unica arma che sono in grado di impugnare: la penna.
La strage di Castel Volturno, il barbaro assassinio di Abdul a Milano, il pestaggio di Emmanuel a Parma e l'aggressione di Torbella Monaca, palesano la paura di un popolo incerto, in piena recessione economica, sfiduciato e cronicamente senza memoria. E quale paura più semplice da instillare, se non quella nei confronti di chi viene percepito come altro o diverso da noi?

Ho passato un anno in Servizio civile nell'ufficio immigrazione dell'Arci, e posso assicurare che la stragrande maggioranza di cittadini stranieri, regolari e no, lavorano al pari di quei nostri concittadini che nei primi del '900 andavano in cerca di fortuna oltreoceano. È ora di smetterla con l'ipocrisia della tolleranza zero e dei calci in culo agli irregolari: quanti gli imprenditori che utilizzano questa manodopera perchè a basso costo? Quanta parte della nostra economia si basa sullo sfruttamento di questa categoria di lavoratori? Occorre anche precisare come la clandestinità non sia una categoria dell'essere, ma un termine coniato da chi crede opportuno distrarre le masse dai veri bisogni delle persone. Disoccupazione, mal governo, ricerca, sicurezza sul lavoro e del lavoro, vivibilità, energie rinnovabili e lotta alle mafie, ad esempio, sono soltanto alcuni dei veri bisogni degli italiani.
Chi parte dalla Costa D'Avorio, dal Ghana, dal Marocco, dall'Albania, dall'Ecuador, dal Perù o dalla Cina, ebbene, non parte come clandestino, ma come essere umano costretto ad una scelta, che entra nell'illegalità non appena mette piede nel nostro paese per colpa di una legislazione inefficace e oscurantista.

Spesso sento dire che gli italiani, a causa degli extracomunitari, non sarebbero liberi di uscire per strada. Ma la placca di titanio che salda la mia mandibola, è il gentile lascito di quattro italianissimi giovani.
È comprensibile avere paura in questo momento storico, ma dovrebbero essere le pagine già scritte dall'uomo a soccorrere il genere. Non passa giorno, invece, a cui non si assista allo sdoganamento di ideologie smaccatamente razziste e xenofobe.

Il cittadino straniero è come me, persegue la felicità e vuole il meglio per i propri figli, non è un mio nemico perchè affolla la metro, non è un mio nemico perchè si diverte dove lo faccio io, non è un mio nemico perchè lavora. Non è un mio nemico. Punto. Ha doveri, ma non posso pensare che ottemperi solo a questi quando non garantisco i suoi diritti.

Questo, forse, abbiamo dimenticato.

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mercoledì 1 ottobre 2008

'Poeti immaginati' di Alberto Terrile


Un diario emozionale, così nella prefazione Alberto Terrile definisce Poeti immaginati, suo secondo libro edito da La Lontra.

Una raccolta di sembianze, gesti e pensieri, con protagonisti poeti e musicisti incontrati dal fotografo, attraverso cui vengono proposti e raccontati alcuni momenti dell'esistenza dell'autore. Pagine in cui si possono incontrare personaggi del calibro di Lawrence Ferlinghetti, Ed Sanders, Diane di Prima, Joanne Kyger, e ancora Alejandro Jodorowsky, Lou Reed, Peter Hammill, Ray Manzarek, Lydia Lunch e Howard Marks. «Queste pagine - rivela Terrile - nascono da un'esigenza di onestà, l'onestà di dire esattamente le cose che ho vissuto e provato. I personaggi ritratti sono miti che hanno scandito alcuni momenti della mia vita e aver interagito con loro acquista un senso particolare nel libro. L'idea - continua - è proporre alcuni protagosti dell'adolescenza e rivisitarli nell'oggi: per vedere come sono loro e come trovano me».

Acquista, ad esempio, un significato particolare l'incontro con Ed Sanders: virtualmente conosciuto nelle bancarelle di libri usati di piazza Colombo nella primavera del '77 e incontrato materialmente solo anni dopo, oppure Lou Reed, immortalato al Best Western Hotel Metropoli, o ancora Alejandro Jodorowsky, ritratto in treno durante il tragitto Genova-La Spezia. E infine Ray Manzarek, tastierista dei Doors, incontrato nel capoluogo ligure nell'estate del 2001 e fotografato durante il soundcheck dell'unica tappa europea per il tributo a Jim Morrison. «Quando incontri questi personaggi - rivela Terrile - prendi consapevolezza, realizzi che sono carne e ossa, con problemi e paure. Hai il mito di fronte a te ed è umano: sei più pacificato».

Ma Poeti Immaginati non è una galleria di personaggi famosi. Tutt'altro, vuole essere uno spaccato di esistenza. Affiorano così i tratti di una generazione, quella del Settantasette che, come scritto da Terrile, è stata l'ultima a sognare. «Quelli non erano solo gli anni dei pantaloni scampanati e delle giacche di velluto - precisa - questa è solo l'estetica degli anni '70. La mia generazione ha vissuto il terrorismo, la fine degli ideali e, negli anni '80, l'eroina e l'Aids».
La sensazione è quella di rivivere non solo un tempo distante 30 anni or sono, ma anche una città. «Genova - aggiunge Alberto - era viva, rispetto ad ora c'era molto meno e quindi dovevi sviluppare la fantasia. Al Cinema Centrale andavo a vedere i film di Godard, mentre al Sivori i cortometraggi di Warhol».

Ma quella generazione - chiedo - che fine ha fatto? «In parte - risponde - ha trovato un proprio posto, in parte lo sta ancora cercando».

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