domenica 28 settembre 2008

Genoa:squadra femmina a Firenze



Continua il mal di trasferta e i punti persi lontano da Marassi rendono meno scintillanti le vittorie contro Milan e Roma. La terza sconfitta in altrettante uscite lontano da Genova e la media di un goal incassato a partita, sono lo score di un inizio di campionato dall'andamento altalenante.

A Firenze, Gasperini si è presentato con il modulo giusto: dopo Catania e Palermo era normale coprirsi e dare più equilibrio alla squadra, ma privarsi di Milito è stato un vero azzardo. Nel primo tempo i rossoblù hanno difeso in blocco, presidiando la propria metà campo con quasi 10 effettivi dietro la linea della palla e rinunciando di fatto a creare gioco. La Fiorentina ha creato poco, nonostante qualche errore di troppo da parte dei centrocampisti rossoblù, mentre la difesa ha dato prova di solidità con le buone prove di Sokratis e Bocchetti, anche se quest'ultimo ha commesso qualche ingenuità dovuta all'esordio.

La chiave di volta è stata il cambio di modulo. Partiti con il 5-4-1, l'ingresso di Milito ha sì svegliato il letargico attacco rossobblù, ma ha anche avuto l'effetto di creare spazi nella trequarti genoana e di fatto ha sbilanciato l'assetto della squadra. Il centrocampo ha continuato ad andare in affanno, reparto che maggiormente soffre soprattuto in trasferta. E non è casuale: quando si decide di aspettare gli avversari, bisogna giocare alti e sbagliare pochi palloni. Il centrocampo dovrebbe fare filtro e sveltire l'azione al fine di alleggerire la pressione avversaria sulla difesa e favorire le ripartenze. Milanetto è un giocatore d'ordine, ma non si può definire una scheggia, Juric è un vero pasticcione, Vanden Borre ha fatto una buona prova ma è calato alla distanza. Il Genoa soffre spesso al centro e le fasce, cavallo di battaglia del Gasperini/pensiero, al momento non sono il fiore all'occhiello della squadra. Rossi si produce sempre in prestazioni accettabili, ma il rendimento del capitano si fa preferire in fase di copertura piuttosto che di impostazione, Mesto è un giocatore irriconoscibile e Modesto ha giocato troppo poco per essere giudicato.

L'attacco orfano del Principe è stato prevedibile. Palladino si è sfiancato in un lavoro encomiabile, ma ha sbagliato troppi palloni a centrocampo, la cosa migliore di Olivera, invece, è stata farsi ammonire: era diffidato e non giocherà contro il Napoli. Detto questo, fino al vantaggio viola l'occasione più nitida della partita è capitata sui piedi di Milito, ma un ottimo Frey ha calato la saracinesca. Tanto di cappello, poi, a Gilardino che ha siglato una rete d'autore, seppure viziata da una posizione di fuorigioco. dopo il vantaggio della formazione di Prandelli, i rossoblù non sono riusciti a produrre una reazione degna di tal nome, dimostrando una certa fragilità caratteriale già evidenziata a Catania e Palermo.

La nota positiva della giornata resta la difesa: nonostante i passivi subiti il reparto offre nel complesso prestazioni più che sufficienti. Papastatopoulos è giocatore di categoria, Bocchetti è un pò acerbo ma si farà, mentre la coppia Criscito-Ferrari terrà su la difesa fino a fine stagione.
Archiviate le prime 5 giornate di campionato, il rendimento del Grifone può giudicarsi tutto sommato sufficiente, ma con i soldi spesi in campagna acquisti le aspettative sono e restano superiori. Ora i ragazzi di Gasperini avranno due partite casalinghe con Napoli e Siena: due vittorie per andare a Milano sgombri da ogni pensiero.

Guarda le highlights di Fiorentina-Genoa

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sabato 27 settembre 2008

Genoa-Roma

Per la partita Genoa-Roma, vinta dai rossoblù per 3 a 1, non ho avuto modo di redigere il tradizionale commento. Mi limito a fornire il link con le highlights.
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Foscolo, l'eroe del Diamante


I luoghi non sono semplici posti, hanno un'anima e spesso custodiscono memorie di echi lontani. I nostri piedi calcano secoli di storia, ma l'abitudine, la fretta e anche l'intrinseca superficialità di una società fondata sull'immagine, di frequente oscurano la vista.
Ma un filo d'erba, delle rovine, un casolare abbandonato o anche una semplice pietra, se guardati con occhio giusto, sono pronti a ricollegarci con un mondo sì sepolto, ma pronto a rivivere in un istante. Può succedere, allora, che percorrendo la mulattiera che sale fino al forte Diamante, dietro le mura diroccate, si possa scorgere l'immagine di un ragazzo dal volto non bello, ma dall'aria libera e stravagante, statura non alta, ma è ancora giovane, capelli rossi, naso aquilino, fronte ampia, occhi vivi e portamento fiero. Ha 22 anni, crede fermamente negli ideali repubblicani ed è pronto a gettarsi in ogni mischia. È nato a Zante, il suo nome è Ugo Foscolo.

Era il 1800, quando con grado di capitano il poeta prese parte alla difesa di Genova. Sotto il comando del generale Massena, il Diamante era in mano alla 41ª mezza Brigata Francese. Foscolo, nonostante il trattato di Campoformio con cui Napoleone vendeva Venezia all'Austria, si era arruolato nuovamente nella Guardia nazionale. Il 30 aprile, gli austriaci, guidati dal tenente generale Conte di Hohenzollern, si attestarono sulla linea dei due Fratelli, minacciando la difesa francese. Intimarono la resa, ma sdegnosamente il capo di battaglione Bertrand rifiutò di capitolare. Il giorno seguente, dal forte Sperone, il generale Soult sferrò l'attacco vincente contro gli austriaci: Foscolo prese parte ad ogni mischia valorosamente e si segnalò nella riconquista dei due Fratelli, venendo anche ferito ad una gamba da un colpo di fucile.

Ma non solo militari furono le fatiche intraprese dal poeta all'ombra della Lanterna, le quinte genovesi videro anche la composizione di una delle più famose odi foscoliane. Un mese prima dell'assedio, la bellissima Luisa Ferrari, moglie di Domenico Pallavicini, ebbe la sfortuna di cadere da cavallo sulla riviera di Sestri, deturpandosi orribilmente il volto. Foscolo per lei compose l'ode A Luigia Pallavicini caduta da cavallo.

Quando salgo al Forte Diamante, affaticato per i ripidi tornanti che portano in vetta, ogni volta penso a quanta storia racchiudano quelle schiene erbose, quante vite e quanti avvenimenti. È l'esperienza stessa dell'ascesa a mettermi in contatto quasi mistico con il fluire del tempo. Per dirla come Foscolo:«Celeste è questa/corrispondenza d'amorosi sensi/celeste dote è negli umani».
Io, più semplicemente, mi sento parte di qualcosa. E forse anche un pò meno solo.

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domenica 21 settembre 2008

Il lato oscuro del vecchio Balordo


The dark side of the moon. Il titolo del celebre album dei Pink Floyd è forse la miglior definizione per descrivere il Genoa visto a Palermo. Un Grifone poco rapace e molto agnello scivola alla Favorita, niente drammi però: siamo appena alla terza di campionato e la prestazione contro il Milan non si può cancellare nel tempo di un batter d'ali.
Ma è proprio da questo scarto che nasce l'amarezza per un'occasione persa abbastanza banalmente. Contro i rossoneri la squadra ha disputato una partita a dir poco perfetta, mostrando probabilmente la sua faccia più luminosa: grinta, corsa agonismo, qualità e soprattutto tanto, tantissimo gioco. In terra siciliana le cose sono andate diversamente. I rossoblù hanno svelato quel lato oscuro che, scherzi del destino, avevano già lasciato intravedere proprio in Sicilia. Ripeto, non è il caso di fare processi, ma esercitare il diritto di cronaca è più che legittimo. E la domenica del Genoa non è stata certamente delle migliori. Inutile negarlo.

La sconfitta è maturata per un approccio sbagliato alla gara. La partita si è presentata subito in salita, con i rosanero più volitivi e propositivi rispetto all'undici di Gasperini. Il mister, a cui non si può imputare alcunchè, i giocatori in campo erano per 10/11 quelli di domenica scorsa, si è sgolato per svegliare i suoi. Ma i portatatori di palla siciliani sono sempre arrivati sulla trequarti avversaria senza incontrare alcuna resistenza. Poco pressing e palloni persi banalmente a centrocampo hanno sottoposto la difesa ad una continua pressione. Ferrari e i compagni di reparto hanno nel complesso disputato una buona gara, sono stati invece gli esterni ad aver latitato: Mesto ha sbagliato molti appoggi, impedendo alla squadra di ripartire e alla difesa di rifiatare, Modesto, invece, oltre ad aver colpevolmente perso Cavani in occasione del vantaggio, non ha fornito spinta in avanti.

Il Palermo, nonostante nel primo tempo abbia avuto più iniziativa, non ha creato grandi affanni alla difesa rossoblù. Anzi, è stato il Genoa a colpire la traversa con Milito. La partita si è decisa a centrocampo. Milanetto e Juric sono andati in difficoltà su Liverani e Simplicio, mentre Palladino, che sì indietreggava sulla linea dei difensori, non ha svolto il lavoro di rottura che aveva compiuto Gasbarroni contro il Milan, mentre in attacco Milito ha predicato nel deserto. Il secondo tempo ha riproposto poi lo stesso copione del primo e il goal di Bovo ha virtualmente chiuso la partita.

Dopo l'uscita di Ferrari, la difesa ha leggermente sbandato, ritrovando equilibrio dopo l'occasione sciupata da Cavani. È stato invece il centrocampo il reparto che ha continuato a soffrire maggiormente, trovando un pò di sollievo solo dopo l'ingresso di Vanden Borre. Il goal nel finale di Milito e l'incredibile voracità di Olivera, non fanno che aumentare i rimorsi per quello che avrebbe potuto essere e invece non è stato.
Adesso sotto con la Roma, tutto è possibile.

A patto che il Grifone mostri il light side.

Guarda gli highlights di Palermo-Genoa

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martedì 16 settembre 2008

Quelli che...non sopporto


Non sopporto quelli che entrano in metropolitana quando i vagoni sono stracolmi e impediscono al convoglio di chiudere le porte. Aspettate la prossima corsa, eviterete un possibile Heysel sotterraneo.
Non sopporto chi mi chiede una sigaretta e mi insulta se non gliela do: mi spiace, non fumo. Lo giuro.
Non sopporto
i punkabbestia che mi chiedono un euro e mi fanno la morale se non gli metto una moneta in mano: lavoro 8 ore al giorno, ho un contratto a progetto e prendo 400 euro al mese. Andate affanculo. E già che ci siete mollate quei poveri cani, hanno il diritto di vivere.

Non sopporto chi ce l'ha con gli stranieri, solo perchè questa nostra società fa schifo.
Non sopporto chi agita il problema della sicurezza come arma di distrazione di massa.
Non sopporto chi fa leggi che rendono clandestini gli esseri umani. Siamo tutti persone.
Non sopporto gli scafisti e non sopporto quelli che 'Gli stranieri sono tutti bravi. Oh poverini'. Anche loro delinquono e fanno casini. Anche belli grossi.
Non sopporto chi ce l'ha con le prostitute e vuole chiudere i bassi.
Non sopporto chi deve per forza snobbare il calcio per fare l'alternativo.
Non sopporto il political correct.
Non sopporto
Berlusconi e Veltroni: due facce di una stessa medaglia.

Non sopporto i contratti a progetto.
Non sopporto gli imprenditori che ti fanno cadere le cose dall'alto quando in realtà stanno concedendo l'elemosina. Ricordate che sarete per sempre dall'altra parte della barricata. Fischia ancora il vento.
Non sopporto l'inutilità dei sindacati.
Non sopporto
la Chiesa, istituzione arrogante e distante dai veri bisogni delle persone: la verità non è qualcosa che uno ha e gli altri no. Smettetela di pensare al sesso, la vita non è un dono di Dio. Grazie mamma e grazie papà.
Non sopporto i preti pedofili e le gerarchie ecclesiastiche che li proteggono.

Non sopporto
gli intellettuali: mentre vi arroccate nella vostra torre d'avorio, fatta di parole e editoriali a tutta pagina, le persone non arrivano a fine mese. A voi e a tutti i politici: vaffanculo.

Non sopporto
quei precari, me compreso, che non si ribellano ad un sistema violento e sfruttatore. Stiamo attenti a conservare quel poco che abbiamo, ma non ci accorgiamo che stiamo difendendo il nulla. Svegliamoci.

E già che ci sono, non sopporto neanche Grillo. Caro Beppe, ti atteggi a Gesù nel tempio, ma come si fa a denunciare il marcio con la rabbia dei miliardi? Devi smetterla, l'unica rivoluzione è quella del popolo.
Non sopporto
gli ex-sessantottini che oggi si sentono alternativi perchè parlano liberamente di sesso, vestono con tutti i colori dell'iride e si sentono tolleranti perchè hanno amici gay. Sono gli stessi che sfruttano stagisti, sono sgarbati con chi chiede cortesemente informazioni, vivono in case da mezzo milione di euro e si alzano alle 10. Andate veramente affanculo.

Non sopporto chi ce l'ha con i gay.
Non sopporto chi cerca continuamente di sminuire la Resistenza: i giovani di Salò fecero una scelta. La storia ha sentenziato: fu quella sbagliata. Grazie invece a tutti i partigiani: se oggi posso scrivere quello scrivo è solo merito vostro.

Non sopporto
i maleducati.

Non sopporto
chi bombarda case di civili in nome della democrazia.

Non sopporto chi va allo stadio e mette a ferro e fuoco due città intere. Siete delle bestie.
Non sopporto
chi sventra il verde per fare dei pargheggi: qualche biblioteca no?

Non sopporto
...beh la lista sarebbe ancora troppo lunga. Alla prossima puntata. Nel contempo Bullet in your head.

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domenica 14 settembre 2008

Il Grifone punge il Diavolo

Il Genoa non batteva il Milan da 24 anni. Basterebbe questo risultato per capire la portata storica della prestazione dell'undici di Gasperini. Alla vigilia, la partita non si presentava delle più semplici: giocare con il Milan non è mai facile, ma incontrare i rossoneri in questo particolare momento lo era ancora di più.
Dare una valutazione è difficile, tutti i giocatori scesi in campo sono stati encomiabili. Corsa, grinta, agonismo e qualità. In due parole: partita perfetta. Ma è l'aspetto tecnico il punto su cui maggiormente vorrei soffermarmi.

Gasperini è partito con un modulo inedito, costruito appositamente su Milito: il 5-4-1. La difesa ha fornito una prestazione di altissimo livello: i movimenti degli attaccanti milanisti sono stati neutralizzati dai tagli precisi di Biava, Criscito ha controllato Kakà alla perfezione e Ferrari ha guidato tutto il reparto con sicurezza da veterano.
Shevchenko, Ronaldihno, Borriello, Seedorf, Pato e Kakà: la squadra di Ancellotti ha schierato tutta la batteria di fuoco disponibile, ma la barricata rossoblù non ha ceduto per un'istante. Mesto e Modesto hanno fornito aiuto al reparto arretrato, ma si sono anche proposti con grande costanza nella metà campo avversaria, mentre a centrocampo Milanetto ha acceso la luce del gioco di Gasperini. Juric ha letteralmente azzannato ogni singolo portatore di palla rossonero, spegnendo l'inventiva di Pirlo, Gasbarroni e Sculli, che funzionavano da centrocampisti durante la manovra avversaria, in fase di possesso offrivano sponda al Principe. Milito ha semplicemente fatto reparto da solo. Un applauso anche a Rubihno, autore di due parate prodigiose.

Ciò che più ha impressionato di questo Genoa è l'affiatamento dei reparti, particolare che invece era mancato nell'esordio di Catania. La sosta ha presentato un Grifone trasformato e qualitativamente rinforzato dall'arrivo di un giocatore come Milito. Ma il plauso, ancora una volta, va a mister Gasperini, che ha saputo trovare soluzioni efficaci, mettendo a tacere le mie perplessità sulle sue capacità a gestire questo gruppo. Emblematico è l'impiego di Gasbarroni.
Nella sconfitta maturata in Sicilia, l'ex parmense era stato impiegato in maniera troppo rigida nello schema del tecnico di Grugliasco, contro il Milan, invece, è stato più libero di svariare. E il risultato è stato a dir poco entusiasmante. Non solo ha permesso di creare superiorità in avanti, ma ha recuperato una quantità notevole di palloni a centrocampo. Ne sanno qualcosa Kaka, Pirlo e un scialbo Ronaldinho. Una lancia nel costato rossonero.

Anche l'utilizzo della panchina è stato preciso ed efficace. Rossi ha rilevato un Mesto non ancora in perfette condizioni fisiche, Vanden Borre ha dato quantità al centrocampo dopo l'uscita forzata di Juric e Palladino è stato preziosissimo in fase di possesso nei delicati momenti finali.
Prima di concludere, vorrei soffermarmi sul Milan. Il Grifone ha certamente offerto una prestazione maiuscola, ma è altresì vero che la squadra di Ancellotti è stata irriconoscibile. Ronaldihno ha trotterellato per il campo, Shevchenko non ha più lo spunto dei tempi migliori e Kakà deve ancora entrare in forma. La difesa ha fatto acqua da tutte le parti, mentre il centrocampo può contare solo sulla voce di Pirlo. Troppo poco.
Emblema della crisi rossonera, l'atteggiamento di Maldini dopo il fallo da rigore, peraltro netto, su Diego Milito: nessuna protesta. Rassegnazione.


Concludo: oggi mi trovo a tessere le lodi di una squadra che ha veramente entusiasmato gli spalti di Marassi, ma il campionato è ancora lungo. Ci saranno momenti difficili e altri entusiasmanti, l'invito di chi scrive, a se stesso e all'intera tifoseria rossoblù, è di mantenere la calma. Oggi ho imparato che vincere si può, anche con le cosiddette grandi. La strada intrapresa, dopo il preoccupante capitombolo di Catania, è buona.

Chi vivrà, vedrà.

Guarda gli highlights di Genoa-Milan

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Raccontare il Novecento


Nonostante il Novecento sia decisamente alle nostre spalle, volenti o nolenti, ancora oggi continuiamo a farci i conti. Un secolo, che nelle celeberrime pagine dello storico Eric J. Hobsbawm è stato definito breve, e che in Secolo, libro di Aleksandar Gatalica (edizione Diabasis, pp. 415, 19.50 Eu), invece, viene riattraversato nella sua interezza. Cento e uno racconti, dal 1900 al 2000, al fine di raccogliere tutto il '900, brani di lunghezza variabile fra le tre e le sei pagine, ambientati da Belgrado a Londra, da Roma a Parigi, Mosca, L'Avana, Bombay, fino ad arrivare a Berlino, Saigon e Buenos Aires.

L'autore serbo, nonostante sia nato nel 1964, dimostra di saper controllare le tensioni e le vicende dell'intero XX secolo, in un testo che sa mantenere viva la sua impostazione letteraria. Gatalica, come sottolineato da Pedrag Matvejevic nella prefazione, getta «un intenso sguardo al secolo rimasto alle sue spalle, uno sguardo lucido e lirico al tempo stesso, troppo cosciente per abbandonarsi alla nostalgia».
Un'opera ad intento enciclopedico e ad ampio respiro, lontana dai quei nazionalismi che, proprio nel corso del '900, hanno insanguinato i Balcani.


Il libro parte con la scomparsa di Eduard Paramentie, custode del padiglione abbandonato dell'Esposizione Universale di Parigi, metafora del tramonto ottocentesco, e si conclude con con la scatola di sardine scadute del dottor Alfonsino Alvaro, simbolo di un Novecento finito ma che continua a far sanguinare le ferite che ha provocato. Nel mezzo, altri 99 racconti, uno per ogni anno del secolo, difficili da definire in una sola parola: sono evocazioni, frammenti e saggi. Nell'impossibilità di citarli tutti - i personaggi che si incontrano nella lettura sono all'incirca 500 - mi piacerebbe menzionare La Scimmia. La scelta cade su questo racconto per un motivo che ritengo contiguo al progetto generale di Gatalica: non dimenticare, ma soprattutto, imparare, da quel libro di preziose e spesso traumatiche esperienze, che è la Storia. Ambientato nel 1909, il brano in questione racconta le vicende di Antonio e della sua scimma ammaestrata chiamata Dante. Partito da Genova, nella speranza di trovare fortuna all'ombra della Statua della Libertà, come tanti tornerà in Sicilia profondamente segnato da quell'esperienza.

In tempi di impronte digitali ai bambini rom, una storia per ricordare chi eravamo e chi siamo oggi.

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sabato 6 settembre 2008

La storia fatta dalle persone

Di recente su Il Venerdì, supplemento settimanale di Repubblica, è stato pubblicato un articolo di Alberto Custodero sul sommergibile Argo. Io vorrei raccontare come la memoria di quegli eventi sia giunta fino a me.

Prima di essere affondato a Monfalcone, nel luglio del 1943 il sommergibile si era imbattuto al largo di Messina in un incrociatore inglese modello Southampton da quasi diecimila tonnellate. Dopo aver lanciato i siluri, il battello si appruò e si rintanò sott'acqua. Solo per miracolo riuscì a salvarsi da corvette e motosiluranti nemici, che lo cacciarono per oltre 40 ore. Quando l'Argo arrivò al porto di Taranto, sulle colonne del Corriere della Sera, intrisa di retorica, questa fu la descrizione che ne diede Dino Buzzati: «la bandiera nera di preda sventola sulla torretta, una siepe di marinai è stesa in banchina sull'attenti, l'ammiraglio, all'equipaggio schierato sull'esile coperta ancora intrisa di mare, porta il grazie della Marina e della Nazione per quello che essi hanno compiuto».

Tra i membri di quell'equipaggio, anche un giovane genovese di appena vent'anni, ne avrebbe compiuti 21 a fine agosto, che già nel giugno di quell'anno si era distinto in acque algerine. Chiamato alle armi dopo la sciagurata entrata in guerra dell'Italia, proveniva da una famiglia che, al pari di tante altre, purtroppo, conobbe da vicino gli orrori del conflitto: suo fratello Gino era prigioniero inglese in Africa, mentre Pietro sarebbe stato internato nel campo di concentramento di Mathausen. Il nome di quel giovane marinaio era Francesco Pedemonte, detto Armando. Mio nonno.

A quel nocchiere, matricola N° 73764, soprannominato in seguito dai portabagagli della Culmv "U Pastasciuta", il Capo dello Stato, su proposta del Ministro della Difesa, conferì in data 22 ottobre 1947 la Croce di Guerra al Valore Militare. Questa la giustificazione dell'encomio: «imbarcato su sommergibile impiegato in importante e difficile missione di guerra contro il traffico nemico in zona particolarmente vigilata, contribuiva con perizia e coraggio alle azioni che portavano all'affondamento di un incrociatore da 10000 tonnellate. Acque della Sicilia 11 luglio 1943».
Pochi giorni dopo, il fascismo sarebbe finalmente caduto e, dopo la firma dell'armistizio, l'8 settembre 1943, per evitare che il sottomarino Argo cadesse in mani dei nazisti, il tenente di vascello Arcangelo Giliberti lo fece affondare nei cantieri navali di Monfalcone.

Quel giovane nocchiere genovese, al momento dell'armistizio, era in licenza. Quando si presentò al comando militare fu invitato a tornarsene a casa e ad attendere gli eventi. La storia di quei giorni è nota.
Dalle profondità del mare passò ai monti, unendosi saltuariamente a gruppi partigiani: «se le brigate nere mi prendevano – spesso raccontava in famiglia – mi fucilavano per diserzione».
La guerra finì. Il 2 giugno 1946 l'Italia divenne una Repubblica e, nei seggi elettorali, quel giovane marinaio conobbe una ragazza bionda che seguiva le elezioni per conto del Partito Comunista. Si chiamava Cesarina. Emilio Mantelli, suo padre, era un uomo dall'accentuato spirito libertario e ancora oggi, quando vado a trovarlo a Staglieno, leggo con emozione l'epigrafe del suo orgoglio: Ripudiai ogni dogma, ogni mistero che offuscare potesse il mio pensiero.
Francesco Pedemonte e Cesarina Mantelli, si sposarono nel 1948. L'anno dopo nacque mio padre.

Chi scrive si chiama come quel nocchiere. Mia madre decise di chiamarmi Francesco, lasciando il nome di Armando a quel marinaio, il soprannome con cui da tutti era conosciuto fin da bambino.
Francesco Pedemonte detto Armando, così è scritto. Anche sulla sua tomba.

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venerdì 5 settembre 2008

La mia intervista ad Andrea Rivera


Molti lo conoscono per gli interventi nei panni del citofonista di Parla con me, trasmissione condotta da Serena Dandini, ma a Roma Andrea Rivera è un volto noto delle notti trasteverine: davanti al Bar del Cinque si esibisce come chitarrista proponendo un nuovo modo di comunicare basato sulle tecniche degli artisti di strada. Questo filone, ripercorso sulla scia di Giorgio Gaber, gli è valso nel 2004 la menzione della giuria al Premio Gaber per talento e coraggio. Una forma che riproporrà anche in Uscite di Insicurezza Live: «non te lo dico che spettacolo sarà altrimenti tu poi non vieni - risponde - è una sorpresa. A parte gli scherzi, farò del teatro-canzone e proietterò delle interviste che ho realizzato durante le elezioni nel 2001 e nel 2006. Farò anche una canzone in risposta a Cristicchi: Ripijate la rosa».

Mentre parliamo Andrea è in viaggio per esibirsi alla Festa dell'Unità di Milano. Nonostante le ventisette denunce collezionate per disturbo della mente pubblica, non ha mai rinunciato al suo palcoscenico preferito: «la strada - ribadisce - è l'unica libertà per l'arte, dico sempre ai ragazzi di buttarcisi, è l'unica libertà che abbiamo. Alle volte - continua - qualcuno mi riprende con il telefonino e mette il filmato su You Tube, ma lo spettacolo deve rimanere per strada. Nelle strade ci sono le persone, un sacco di pubblico con cui confrontarsi e uscire dal cosiddetto pensiero unico: a volte qualcuno mi ha dato anche 10 Eu, forse per farmi smettere. Insomma - continua - la mia non è comicità alla Zelig, più alla Luttazzi: a me piace essere cattivo e prendere in giro la gente».

La satira è un argomento che spesso ha animato il dibattito pubblico italiano, suscitando discussioni sui suoi possibili e non possibili confini. «Il satiro deve essere libero, la satira non uccide nessuno. Però - dice Andrea - deve essere giustificata. Non mi è piaciuta Sabina Guzzanti a piazza Navona. Se vuoi fare una battuta sul presunto sodalizio Carfagna-Berlusconi, ad esempio, puoi dire qualcosa del genere: 'La Carfagna ha fatto una legge sulla prostituzione? Un'altra legge ad personam'».

Rivera improvvisa battute per telefono: «il mio è un carpe diem - ribadisce - quando ho da dire qualcosa lo dico, lo racconto».
Mercoledì 3 settembre l'artista romano è stato alla Talpa e l'Orologio, centro sociale imperiese a cui è stato recapitato un atto di intimazione allo sgombero. Anche al genovese Buridda potrebbe a breve capitare la stessa sorte, spesso il valore civile e culturale degli spazi autogestiti è sottovalutato. «Ad Imperia - scherza Andrea - è Scajola che vuole allargare il suo giardino di fichi. In generale - continua - non è che i centri sociali siano sottovalutati, non vengono proprio valutati. Basta guardare anche ai fatti di cronaca di questi giorni». Il riferimento è al ragazzo romano accoltellato venerdì 29 agosto in un agguato fascista, mentre ritornava dalla festa in ricordo di Renato Biagetti, a sua volta ucciso da un gruppo di estrema destra.

Ma Andrea sta per fermarsi all'autogrill per un caffè. Giusto il tempo per un'ultima domanda: se dovessi scegliere un aggettivo per descrivere oggi l'Italia, quale useresti?
«Ti rispondo con un musical: The Rocky Horror Picture Show. Mi piacerebbe però diventasse Jesus Christ Superstar. Ma aspetta, questo lo abbiamo già: solo che è Ratzinger Superstar».

Guardate il video di Andrea Rivera alla trasmissione 'Il senso della vita'.

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lunedì 1 settembre 2008

Bartezzaghi e la creatività


Chi non ha mai fatto un cruciverba, un rebus, un anagramma o una pista cifrata? Proprio di enigmistica, giochi di parole e lingua creativa, ho parlato con Stefano Bartezzaghi, ospitato di recente dal Festival della Mente di Sarzana .
Figlio di Piero, curatore a partire dagli anni ‘50 del raffinato cruciverba a schema libero pubblicato a pagina 41 della Settimana Enigmistica, Stefano collabora con il quotidiano La Repubblica, per cui cura le rubriche Lessico e Nuvole, Lapsus e I soliti sospetti.

Creatività delle parole, quali sono gli aspetti e le possibilità che più l’affascinano di quest’ambito?
«La creatività applicata al linguaggio è un equivoco, con le parole si può fare molto senza per questo far nascere qualcosa dal nulla. Le parole non si creano, cambia solo il modo di usarle e quando si separano le cose dal loro significato, si entra in un mondo inedito che però già esiste, una dimensione a cui si accede tramite operazioni che a volte possono risultare anche buffe».

Il linguaggio è un sistema convenzionale di simboli. I giochi di parole e l’equivoco possono essere considerati un punto di vista alternativo a questo codice?
«A dire il vero la parola ha molti aspetti non convenzionali. L’operazione è separare il linguaggio dalla sua funzione apparente e scoprire tutte le altre, valenze che spesso restano nascoste soprattutto a causa della vita che si conduce. La vita della folla solitaria spesso impoverisce il linguaggio e ne fa vedere solo l’aspetto funzionale. In questo senso, sì, l’equivoco è un punto di vista alternativo».

Mi vengono in mente i calligrammi di Apollinaire e alcune opportunità esplorate dai futuristi: le parole hanno potenzialità incredibili. Che rapporto tra i giochi di parole e la cultura?
«Le parole sono l’elemento fondamentale della cultura e nel corso del ‘900 si è sfruttato al massimo il loro potenziale. Oltre ad Apollinaire e i futuristi, penso anche al cubismo. Le parole sono anche una grande quantità di forme grafiche e la cultura del secolo scorso ha abbracciato quel mondo di giochi linguistici che erano ai margini».

Il suo ultimo libro, l’Orizzonte Verticale, è stato progettato più di dieci anni fa ed è una storia a due dimensioni del cruciverba. Come è nata l’idea?
«Casualmente durante una conversazione con Lorenzo Fazio alla casa editrice Einaudi. Io a dire il vero pensavo ad un singolo capitolo di un libro, dopo le ricerche, però, è nato un progetto più grande. La storia del cruciverba si incrocia con i tempi della modernità: nasce a New York negli anni '10, durante la costruzione della metropolitana e dei grattacieli, compare per le prime volte nelle pagine dei quotidiani ed è il mezzo tramite cui il ceto medio misura la propria alfabetizzazione. E poi, dietro al cruciverba c’è un mistero: nato come una moda, tanto da soppiantare in America il diffuso mahjong, non è stato mai superato da null'altro. Si è diffuso in tutto il mondo combinandosi con le singole tradizioni nazionali: società e cultura ne hanno plasmato la forma».

Dato che molti fruitori se lo chiedono: come nasce un cruciverba?
«Dipende dalle varianti. Comunque tutto parte dall’incrocio, che è un’operazione che non può essere predeterminata. Magari si parte da qualche definizione, ma il grosso di queste si butta giù dopo che lo schema è completo. E tutto alla vecchia maniera: solo carta e penna, senza l'aiuto di alcun computer. Altrimenti l’enigmista perderebbe la parte più bella e maledetta della preparazione».

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