domenica 31 agosto 2008

Il Genoa stecca al Cibali


Ho deciso di inaugurare una rubrica calcistica. Dato l'amore che mi lega al Genoa, dopo ogni partita giocata lascerò sul blog un post. Amici del Forum dell'anno scorso lasciate il vostro commento!

Peggior inizio non poteva essere. Un Genoa svogliato, disordinato e, a dire il vero, anche a corto di condizione, ha ceduto il passo ad un modestissimo Catania. Non è il caso di fare drammi, siamo alla prima di campionato, ma è altrettanto vero che qualche indicazione su questa squadra la possiamo trarre.

Per prima cosa evitiamo voli pindarici: il nostro obiettivo resta anche quest'anno la salvezza e, personalmente, metterei una firma sui 48 punti della scorsa stagione. In seconda battuta, la sciatta prestazione di Catania ha evidenziato alcune lacune.
La squadra putroppo è ancora un cantiere aperto. Ed è questo l'aspetto che desta più di una preoccupazione. Gasperini non è ancora riuscito ad imprimere il suo marchio al nuovo gruppo. In situazioni normali sarebbe del tutto comprensibile, ma il problema sta proprio qui: il Genoa deve trovare amalgama e condizione al più presto. Lo richiede un calendario in salita, previo trovarsi dopo una decina di giornate di campionato con una sconsolante manciata di punti. Nella malaugurata ipotesi, l'ambiente genoano, autolesionista per eccellenza, potrebbe cominciare a fare danni, ahimè irreparabili.

Il calendario non aiuta, tra 15 giorni a Marassi ci sarà il Milan che ha perso con la matricola Bologna, ma è altresì vero che Rossi e compagni ci hanno messo del loro. La partita di Catania, con un minimo di accortezza in più, si poteva e doveva vincere. Troppi passaggi sbagliati, imprecisioni dilettantistiche a centrocampo e poco, pochissimo movimento in attacco.
Comprensibilmente non faccio nomi. Credo che alla prima uscita stagionale non sia opportuno dare valutazione sui singoli. Certo è, però, che questa squadra qualche problemino lo ha evidenziato. Come già scritto il primo è di affiatamento, mentre in seconda battuta l'attacco risente della mancanza di un uomo di ruolo. Non solo: gli esterni non riescono ancora a fare ciò che vorrebbe il mister e, non a caso, sono stati sostituiti entrambi. Il centrocampo non può dipendere dalle assenze di questo o quell'altro giocatore e la difesa, che nel complesso non ha mal figurato, ogni tanto gigioneggia distrattamente. Vedi il goal di Mascara.

Che scrivere d'altro. Niente di più. Queste due settimane dovrebbero permettere un ulteriore compattamento dei nuovi e l'assimilazione degli schemi del mister. Su una cosa però è necessario far chiarezza: Gasperini non ha alibi. Questa è la squadra che lui ha voluto, a lui il compito di farla rendere al meglio.
Buon campionato a tutti.

Guarda le highlights di Catania-Genoa

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mercoledì 27 agosto 2008

Buck e la civiltà

Che cosa è la civiltà? Qualcuno potrebbe rispondere progresso e benessere, altri ordine e evoluzione sociale o tecnologica, qualcun'altro produttività e guadagno. E se invece la risposta fosse: alzarsi ogni mattina, prendere la metropolitana alla stessa ora, 8 ore di ufficio, tornare a casa e così di seguito per ogni giorno? È una delle tante possibili prospettive.

Già nel 1903 Jack London aveva rilevato l'appiattimento e l'impotenza che comportano le forme di vita nella società di massa. Il Richiamo della foresta era il libro in questione. Nelle avventure del cane Buck, incrocio tra un san Bernardo e un pastore scozzese, c'è la voglia di assoluto che solo un io imprigionato può avere.

Che cosa è il mondo da cui Buck decide di allontanarsi?
Una società violenta, opportunista e traditrice. Una realtà di sopraffazione, in cui vige la regola del profitto senza regole e dello sfruttamento. Nessun rispetto per animali e persone. Una vita monotona e ripetitiva che si svolge con meccanica regolarità. Un mondo che non conosce «altra legge al di fuori di quella della zanna e del bastone».
In tanta negatività c'è però un barlume di speranza, un'abbaglio di amore rappresentato dall'amicizia con John Thornton. Ma è la morte, peraltro violenta, a spezzare questo legame. A Buck non resta che seguire il richiamo, «correndo libero negli spazi aperti, con sotto i piedi la terra intatta, e il vasto cielo sopra di sè».

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giovedì 21 agosto 2008

Noi scegliamo i libri, o loro scelgono noi

Siamo noi a scegliere i libri, oppure sono loro a scegliere noi? Spesso mi è capitato che una circostanza, un particolare, una parola o un semplice ricordo mi abbiano avvicinato ad un autore piuttosto che ad un altro. Raramente entro in libreria senza avere le idee chiare. Spesso, invece, mi aggiro tra gli scaffali con fare sicuro: il libro mi ha già scelto, e a me non resta che acquistarlo. Direte: «leggere l'Ombra del vento ti ha fatto male, figlio mio». Mi piacerebbe rispondervi raccontando il modo in cui ho incontrato - ovviamente metaforicamente - Mordecai Richler.


Negli anni del liceo la mia mente era un spugna fertile che tratteneva, ma non rilasciava alcunché, non fruttificava. Le ore che seguivo più volentieri, senza per questo ottenere grandi risultati, erano quelle di storia e filosofia. Il professore, oggi diventato un caro amico, aveva la capacità di far entusiasmare gli alunni ricreando, attraverso le parole, il campo di una battaglia napoleonica o l'atmosfera di Torino quando la città ospitava Friedrich Nietzche. Ebbene, in queste ore ci venivano proposti e consigliati una miriade di titoli che noi, poco più che adolescenti, appuntavamo per compiacere l'ars oratoria del nostro prof. Uno di questi fu proprio La versione di Barney.

Terminai il liceo senza mai leggere il libro di Mordecai Richler. L'autore morì nel 2001 e, negli anni dell'università, cadde nei meandri del mio nulla cerebrale per riaffiorare quando meno me lo sarei aspettato. Fu mentre preparavo l'esame di Letteratura latina, che puntualmente avevo lasciato al termine del mio corso di studi, mentre mi aggiravo nei caruggi alla ricerca di un libro su cui studiare gli autori. Il cazzeggio è parte integrante della vita universitaria, così un giorno saltai lezione e, con la scusa di cercare il testo, mi diressi in san Luca. Entrato in libreria, una copertina rossa catturò la mia attenzione: La versione di Barney, di Mordecai Richler.
Di colpo mi vennero alla mente le lezioni degli anni prima e gli appunti che conservo tuttora nel solaio. Comprai il libro e lo divorai in pochi giorni. Le avventure di Barney Panosky, personaggio cinico ma incredibilmente attraente, distolsero la mia attenzione dallo studio. Mi appassionai ai suoi tre matrimoni, agli avvenimenti e agli incontri straordinari della sua vita, a quel finale a dir poco sibillino e al suo modo crudo di interpretare l'esistenza. Quelle pagine, comunque, cambiarono la mia: ogni istante è mutamento e, a maggior ragione, lo sono gli attimi spesi nella lettura. Da quel giorno mi innamorai della prosa dello scrittore canadese, senza però leggere nessun altro suo scritto.

E arriviamo a tempi più recenti. Lo scorso dicembre mi aggiravo per gli scaffali di una libreria per i tradizionali regali natalizi, quando ecco spuntare una copertina marrone e il mio occhio cadere su un autore conosciuto. Di nuovo lui, Mordecai Richler. Ho acquistato Solomon Gursky è stato qui, ma l'ho letto quando mi sono sentito pronto. Solo di recente ho terminato l'epopea dei Gursky e, anche in questo caso le morti di Solomon, una sorta di Montecristo canadese, e le vicende della sua famiglia, mi hanno stregato. Vi starete chiedendo il perché di questo racconto. Ebbene, non mi sottraggo. Nelle pagine di questo ultimo libro, graffiante e puntuale come al solito, Richler ha dato una risposta alla domanda con cui ho iniziato, a quell'interrogativo, forse un po' ingenuo, sulla nostra possibilità di scelta nei confronti dei libri: «se non io, chi? Se non ora, quando?», recita una pagina del diario di Solomon Gursky.
Ecco la soluzione. Forse.

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martedì 19 agosto 2008

A spasso nella macchia mediterranea


Subito dopo l'abitato di Borghetto, proprio sul tratto di Aurelia che porta a Ceriale, si stacca dall'asfalto una scaletta che conduce a un sentiero. Al suo fianco, in via Pascoli, si può consultare la bacheca illustrativa del Sistema Ambientale Poggio Grande, un'area protetta che racchiude eccezionali pregi botanici, faunistici e geo-paleontologici.

L'itinerario passa sopra la statale e introduce immediatamente nella fitta area arbustiva, lambendo il perimetro di Castello Borrelli, fortificazione ottocentesca costruita dall'omonimo senatore sopra i resti dell'antico ospizio. Nel primo tratto, l'odore del timo e dell'erica si accompagnano alla vista del cisto a foglie di salvia, dello scòtano, del terebinto, della ginestra e della ginestra spinosa: un classico esempio di macchia mediterranea. «Qui su l'arida schiena / Del formidabil monte», cantava Leopardi e, anche se il poeta recanatese ne La Ginestra descriveva la desolazione del Vesuvio, i suoi versi ben si adattano a questo tratto di percorso. Il tracciato, continuando verso le cime alte, lascia spazio ad un miscuglio di pini marittimi, roverelle e lecci, ma con netta predominanza di sottobosco di corbezzoli, lentischi e filliree. Il cammino, dopo un primo tratto piuttosto impegnativo, diventa agevole, con sentiero largo e segnato, ma sempre al sole. Da consigliarsi, quindi, nelle ore meno assolate e con sufficenti scorte d'acqua, oppure nei mesi invernali.

Dopo circa 45 minuti di marcia, si giunge sulla cima del monte Piccaro, dove si trova la nicchia della Madonna della Guardia, da sempre protettrice di Borghetto. Il panorama, nonostante l'altitudine poco elevata, toglie il fiato. Mentre da fondo valle il vento porta alle narici l'odor di arbusti, la vista può godere di quei piaceri che soltanto una terrazza sul mare sa concedere: di fronte c'è il blu del mar Ligure, l'isola Gallinara, la riviera fino a Capo Noli da una parte, la piana di Albenga dall'altra (e si capisce perchè la chiamano così). Alle spalle il percorso prosegue lungo il crinale raggiungendo in successione il Monte Croce, il Monte Acuto e, ancora, il Poggio Grande. Lo sguardo va oltre e capo Mele porta alla mente il brulicare di Alassio, il lungomare di Laigueglia e le anse dell'Aurelia in uno dei punti più suggestivi della riviera Ligure.

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martedì 12 agosto 2008

Fausto e Iaio


Il 18 marzo 1978 in via Mancinelli, a Milano, vengono uccisi Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci: otto colpi Winchester calibro 7,65 tolgono la vita a due diciotenni del Centro Sociale Leoncavallo. Fausto e Iaio. Trent'anni dopo. Raccolta di scritti, documenti, testimonianze per non dimenticare, edito da costa&nolan, a cura dell'Associazione familiari di Fausto e Iaio (235 pp, 15 Eu), ha già nel titolo il senso del libro: ricordare. Pagine che, attraverso contributi di amici e conoscenti, professori e parenti, giornalisti e politici, riattraversano i fatti succedutisi da quel sabato, una ricostruzione per memorie che restituisce non solo gli avvenimenti, ma anche il clima politico italiano alla fine degli anni '70.
È l'Italia degli anni di piombo, del caso Moro, sequestrato proprio due giorni prima del duplice omicidio di via Mancinelli, una Milano ancora ferita dalla strage di piazza Fontana, una città che comincia a conoscere le derive dell'eroina. E, proprio in questa direzione, Fausto e Iaio stavano conducendo approfondite indagini: interviste sul campo e nastri meticolosamente registrati saranno misteriosamente trafugati dopo la loro morte.

Nella forma e nella sostanza fu un'esecuzione, maturata negli ambienti dell'estrema destra e che, a trent'anni di distanza, non vede ancora i responsabili.
Le indagini sono durate anni e le carte processuali passate nelle mani di numerosi giudici e magistrati. Al termine dell'inchiesta gli indiziati restano tre: il neofascista Mario Corsi, Massimo Carminati e Claudio Bracci, affiliati alla banda della Magliana.
Questa la conclusione con cui il Giudice delle Udienze preliminari del Tribunale di Milano, Clementina Forleo, archivia l'inchiesta il 6 dicembre 2000: «Pur in presenza dei significativi elementi indiziari a carico della destra eversiva ed in particolare degli attuali indagati, appare evidente allo stato la non superabilità in giudizio del limite appunto indiziario di questi elementi, e ciò soprattutto per la natura del reato delle pur rilevanti dichiarazioni».


Fausto e Iaio, a trent'anni dall'uscita di Che idea morire di marzo - raccolta di poesie, lettere e ricordi, pubblicata all'indomani della loro tragica scomparsa - restituisce una delle tante pagine nere, e purtroppo irrisolte, della storia italiana. Articoli di giornale, documenti giudiziari e inchieste interrotte, come quella di Mauro Brutto, morto in circostanze poco chiare, sono orchestrate da Daniele Biachessi. Seguono testimonianze di ieri e di oggi offerte da Gad Lerner, Paolo Hutter, Ada Negroni, Daniele Farina, Ivan Berni e Leonardo Coen. In allegato il documentario in dvd di Bruno Capuana.

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martedì 5 agosto 2008

Una domenica di passione


Ricevo e pubblico questo articolo di Alessio Rassi in arte Joker (Genova).



"Cos’è questa passione? A parole molti hanno provato a descriverla e pochi ci sono riusciti. I pochi che hanno centrato il concetto l’hanno fatto con poche parole. Mi piacerebbe poter essere come loro ma riconosco i miei limiti, proprio quelli che Napoleone Bonaparte diceva essere presenti in tutto, anche nelle passioni, e quindi sarò meno conciso.

Se non vi siete mai chiesti dove nascono le feste – apriva Tim Burton nel suo Nightmare Before Christmas – direi che Cominciare dovreste!

E’ nato tutto da una proposta di un amico. Perché non organizzare una gita tra le strade più belle del nostro entroterra, fermarci a mangiare in una trattoria e poi ripartire per un altro pomeriggio da girovaghi?
A quella proposta, un piccolo Edi mi è saltato sulla spalla e mi ha sussurrato: «Perché non approfittarne, per rendere omaggio a EVO, schierando la cavalleria sotto al castello di Santo Stefano d’Aveto, teatro del meraviglioso articolo sulla R27 lungo la Piacenza-Chiavari?».

Giro di chiamate tra amici, prenotazione all’Hosteria Luna Piena e via. Non rimaneva che organizzare il tragitto e le eventuali soste lungo lo stesso per le foto di rito.

Già da un paio di giorni, al ritrovo del venerdì nella solita piazza, si parlava dell’evento. Si programmavano cose che ai più sarebbero sembrate sciocche (come lavare l’auto) e si tornava a parlare di altro porgendo di tanto in tanto (come dei finti smemorati) un pensiero o una frase, anche se usati come intercalare alla giornata di domenica.

Sabato: ultimi controlli, fatto il pieno di 100ottani alle piccole, controllati livelli e pressioni e messe a riposare. La sveglia suona implacabile dopo il classico sabato sera rivierasco (affrontato dopo aver scroccato la macchina al babbo, perché consuma di meno!). Scendo quasi un’ora prima del previsto per sistemare un po’ di cose sull’RS e perché, diciamolo, non stavo più nella pelle! Vederla nel suo blu-francia, lavato e lucidato, mi rende sempre orgoglioso dell’acquisto. Attendo quello che sarebbe stato il mio compagno di viaggio per la giornata e intanto metto in moto Puffetta. Ci muoviamo verso il first meeting-point della giornata, dove il primo gruppetto di noi che vive nel capoluogo ligure si è dato l’appuntamento. Tutto come da copione, gli amici sono già lì ad aspettarmi\ci (qualcuno più invasato di me?!). Attendiamo l’ultima coppia di scalmanati e partiamo con destinazione Lavagna dove ad attenderci ci sarà il secondo gruppo. Incredibile, si arriva tutti con 10 minuti di anticipo e si parte. La formazione è eterogena e c’è un mezzo per ogni scuola di pensiero: dalle old grezze come il Sierra Cosworth alla letale Lancer EVO VII RS, tutte debitamente “vitaminizzate”.

Dopo qualche km abbandoniamo i centri abitati e iniziamo a salire sempre più. Il silenzio di questa domenica mattina è squarciato dal rombo di circa 1300cv totali che serpeggiano lungo la strada ancheggiando da una parte e dall’altra come una sinuosa danzatrice del ventre.
Parazzuolo, Cabanne, Rezzoaglio, dove per una volta sono i numerosi motociclisti a guardare con il sorriso da appassionati i mezzi a 4 ruote sfilare lungo la strada. Si entra a Santo Stefano d’Aveto e si va a parcheggiare a colpo sicuro nell’area antistante il castello. La temperatura segna 32°, decisamente caldo sia per noi che per le nostre piccole che vengono chiuse prima di entrare in Hosteria.

Le 2 ore stimate per il pranzo scorrono veloci tra racconti di giornate in pista, tecnicismi meccanici e storie da forum che suscitano sempre l’ilarità generale. In un colpo di ciglio ci si trova a pagare il conto: ironia della sorte, in una delle pareti del locale campeggiano delle foto di rally che ritraggono due generazioni di Clio in azione nel loro territorio di caccia.

Si esce e ci si dirige sotto al castello per spostare i bolidi in posizione per la foto tanto bramata. Una piccola fiera di svariati oggetti ha occupato gran parte della piazza, ma c’è ancora abbastanza posto per poter mettere un importante tassello nella giornata. Prima di essere ostracizzati dai proprietari dei banchetti ci rimettiamo in moto verso Cabanne per poi salire verso Canale, poi Barbagelata e infine scendere al passo della Scoglina dove ci si ferma per un’altra sessione di foto.
Tempo di sgranchire le gambe e fotografare i più variopinti mezzi che transitavano (come una Lambretta con livrea Kawasaki e scritta Lambrosaki) e ci rimettiamo in moto per andare giù nel toboga della Scoglina e dritti verso Chiavari.

Qui ci si ferma in Piazza Cavour per l’ultima bevuta in compagnia (Coca-Cola a fiumi!) e per i saluti di rito. La giornata volge al termine e i serbatoi sono più pieni del previsto. Veniamo scortati dai ragazzi del posto fino all’ingresso dell’autostrada e con tutta calma rientriamo nelle rispettive dimore. Stanchi, sudati ma dannatamente felici!

Beh, dopo tutto questo racconto, vi starete chiedendo cos’è la passione per me? La passione è in ogni cosa che si fa per giornate come questa. Dal controllare le cose più fondamentali al fine della salvaguardia meccanica del mezzo, alla scelta della colonna sonora da utilizzare durante i noiosi trasferimenti autostradali. La passione è sfilare lungo bellissime strade, sentire le curve succedersi una dopo l’altra e avere dentro di sé quella strana sensazione di far parte di qualcosa, anche se intangibile.
Passare per i paesi dove anziani del posto, molto probabilmente nati e vissuti lì, ti guardano con stupore accompagnandoti con lo sguardo fino all’ultimo centimetro possibile di curva a loro visibile.
E’ complimentarsi l’un l’altro dei diversi stili di guida o modi di viaggiare dell’auto.
E’ anche solo stare in silenzio al ristorante in attesa che qualcuno accenni ad un nuovo discorso (una sorta di turbo-lag linguistico!).
Mettere il braccio fuori dal finestrino e surfare onde immaginarie con il palmo della mano, con lo sguardo fisso al particolare della strada o della vettura che ti sta davanti per poi commentarlo nell’attimo successivo e dimenticarlo in quello ancora dopo.
In ogni attimo c’è passione. Non esistono invidie, rivalità, magari qualche sfottò ma tutto è teso alla felicità.
Vorrei aver la capacità di riassumere tutto in una sola frase, dicevo. Ma, e qui userò la tecnica (ammesso che esista) della citazione per introdurre la citazione, c'è sempre qualcuno che ha detto una cosa nel migliore dei modi, perciò se non riesci a fare di meglio ruba da lui e farai la tua figura.

Non me lo farò ripetere due volte!
Diderot scrisse: «Esiste solo una passione, la passione per la felicità».

Guardando come sonnecchia felice Puffetta direi che lo è. E io con lei".

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E ancora MCR


Bella Ciao (Italian Combat Folk for the Masses) è l’ultimo album dei Modena City Ramblers, ma soprattutto è il primo lavoro pensato per un mercato alternativo a quello italiano. Gran parte delle canzoni appartengono al repertorio storico del gruppo, dal primo disco Riportando tutto a casa (1994) fino al recente Dopo il lungo inverno (2006), brani re-incisi in due sessions diverse presso lo studio bunker di Rubiera. Piccola curiosità: in fase di registrazione il titolo pensato era proprio Tunes from the Bunker.

«Il progetto - rivela Massimo Ghiacci, bassista e storico membro della band modenese - risale a due anni fa, all'epoca delle registrazioni di Dopo il lungo inverno. Assieme a Terry Woods si pensava ad un disco-presentazione per l'estero, così - continua - non abbiamo perso tempo e, tra settembre 2006 e febbraio 2007, abbiamo dato vita al disco, cercando di privilegiare soprattutto l'aspetto live delle incisioni».
Come accennato, alla realizzazione di Bella Ciao ha collaborato anche Terry Woods, membro dei Pogues e storico alfiere della scena folk-rock britannica degli anni ’70. Grazie al suo aiuto sono state scelte le tracce che, come ribadito dal bassista dei MCR, «sono una presentazione dei Ramblers per il pubblico straniero». Woods ha individuato i punti di forza della band modenese, condensandoli in una scaletta che potesse far ballare anche oltre i confini italiani. Si possono così ascoltare canzoni come La Banda del sogno interrotto, Viva la Vida, Clan Banlieue, Mia dolce rivoluzionaria, El Presidente e i Cento Passi. Alcune canzoni, come Ebano (divenuta Ebony) e Musica del Tempo (Music of the Time), sono state trasposte in inglese. Altre, come Bella Ciao, sono state invece ribattezzate in Partisan’s Bella Ciao. Spazio, infine, anche a due inediti: Bella Ciao, nella storica versione delle mondine, e Roisin the Bow: «abbiamo cercato di insistere sull'originalità del suono dei Ramblers - rivela Massimo - inserendo quei brani che meglio contraddistinguono il nostro combat folk, quelli che potrebbero meglio identificare il nostro sound anche ad un pubblico estero. Senza dimenticare - continua - la militanza e quegli aspetti che caratterizzano il nostro mondo».

Quali sono - chiedo - le canzoni che maggiormente vi danno soddisfazione durante un concerto?
«Suonare è sempre una gioia - dice Massimo - anche se ci sono momenti che fanno veramente la libidine del musicista. Quando proponiamo, una dietro l'altra, Viva la Vida, Una perfecta excusa e El presidente, ebbene, è uno di quegli istanti. Senza dimenticare - continua - Bella Ciao e Roisin the Bow, che ci lega al ricordo di Luca». Proprio a Luca Giacometti, genovese e storico membro del gruppo, scomparso di recente, è dedicato l'ultimo lavoro: «torniamo sempre molto volentieri sotto la Lanterna, fin dai tempi in cui ci esibivamo all'Albatross. Tornare in città senza di lui - continua Massimo - ha sicuramente una forte componente affettiva».
Nella pentola dei Ramblers c'è un gran bollire e sono molti i progetti in programma: «nell'autunno 2009 - rivela Ghiacci - porteremo in giro per tutta la penisola Carrozze di terza classe, uno spettacolo teatrale che sarà anticipato da un nuovo album». Ma da fan degli MRC non posso esimermi da una domanda che mi sta particolarmente a cuore: che effetto fa ascoltare Quarant'anni e riconoscerla attuale a quasi 15 anni di distanza? «È triste - risponde Massimo - quella canzone era stata scritta all'indomani degli attentati di Falcone e Borsellino. Riascoltarla adesso mi fa pensare che la storia si ripete».

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domenica 3 agosto 2008

La sera del dì di festa


Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna.
O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormi, che t'accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai né pensi
Quanta piaga m'apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m'affaccio,
E l'antica natura onnipossente,
Che mi fece all'affanno.
A te la speme
Nego, mi disse, anche la speme; e d'altro
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fu solenne: or da' trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Piacquero a te: non io, non già ch'io speri,
Al pensier ti ricorro.
Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo.
Oh giorni orrendiIn così verde etate! Ahi, per la via
Odo non lunge il solitario canto
Dell'artigian, che riede a tarda notte,
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia.
Ecco è fuggito. Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Ogni umano accidente. Or dov'è il suono
Di que' popoli antichi? or dov'è il grido
De' nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l'armi, e il fragorio
Che n'andò per la terra e l'oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s'aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch'egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s'udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core.

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