lunedì 28 gennaio 2008

Colpa, peccato e responsabilità

Il mio intervento sul papa alla Sapienza, ha aperto il dibattito. Inserisco i pensieri di Roberto, che ringrazio di cuore per il suo contributo.

L'articolo di Francesco, come sempre, pone molti punti di dibattito e spunti interessanti.
Non starò a dilungarmi sull'affaire "Papa alla Sapienza": si sono già scritti fiumi d'inchiostro; mi limito solo a dire che l'intolleranza dimostrata da questi gruppi di giovani "sapienti" (ho sentito le loro interviste: aberranti) non ha giustificato la "chiamata in piazza" di Ruini, manco il Papa avesse il bavaglio, qua in Italia!! Non mi sembra che il Pontefice (purtroppo) non abbia rilevanza nella nostra società e, ahimè, nella nostra politica: tra encicliche, l'Avvenire, le note pontificie, la CEI, gli Angelus e chi più ne ha più ne metta, mi sembra che la sua voce si senta fin troppo forte e condiziona fortemente anche i Poteri politici italiani (Legislativo ed Esecutivo). Sarebbe stato meglio chiudere l'increscioso avvenimento con più signorilità da parte delle gerarchie ecclesiastiche, ci saremmo risparmiati l'adunata di politici che, per raccattar voti, hanno fatto la fila in via della Conciliazione. Vomitevole!
Mi interessa maggiormente soffermarmi sui commenti di Francesco sui temi di "peccato", "colpa" e "sommo bene". Non c'è dubbio che siano temi di infinita profondità e complessità che, non a caso, sono al centro delle riflessioni di tutti i più grandi pensatori della storia dell'uomo.
Va da sè che Ratzinger, per il ruolo che ricopre, e pur essendo un fine pensatore e studioso, non può che tendere, nelle sue elucubrazioni circa i temi succitati, a farsi portatore di una Verità certa e di una morale Cristiana assoluta.
Cosa è la verità? Certo, come dice Fra, è anche una visione del mondo, una prospettiva di vita, e, essendo ogni uomo sulla Terra, un essere unico e irripetibile, un Universo insondabile, ogni Verità è un unicum. Personalmente, ritengo che il Senso della vita, la Verità che dir si voglia, coincida con l'estrinsecazione della propria personalità, col vivere secondo la propria inclinazione; ogni Uomo ha diritto di ricercare la felicità e l'appagamento di sè nella propria vita, senza limitare la libertà degli altri a ottenere la medesima cosa, ovviamente. E' una cosa di una difficoltà estrema e pochi sono gli esseri che vi giungono, anche perchè, spesso, non basta una vita a capire cosa si desidera realmente.
Detto questo, bisogna stare molto attenti alla relativizzazione di ogni cosa, atteggiamento che ha preso molto piede nell'ultimo decennio nel campo del pensiero "di sinistra". E' vero che esistono varie morali, vari usi e costumi, che hanno dignità e meritano rispetto da parte di tutti. Però, bisogna intersecare tale concetto con quello di RESPONSABILITA' individuale: ogni uomo è resposanbile delle proprie azioni, e non si può trincerare, secondo me, dietro una propria morale o una propria "cultura".
Fra scrive: "Non mi sento peccatore se credo nell'uso del preservativo, non mi sento peccatore se penso che la legge sulla fecondazione assistita vada rivista, non mi sento peccatore se credo che la 194 non vada toccata. Il mio sistema di valori è diverso da quello di Joseph Ratzinger. E sono cosciente che la mia etica sarà diversa da chiunque legga queste righe, ma non ammanto di verità la mia visione del mondo. La mia è una delle tante possibili rappresentazioni della realtà".
E io condivido ogni parola, ma non condivido quando poco prima dice: "Esiste il peccato perché i peccatori si riconoscono tali". Io credo, invece, che esista un Bene e un Male e che la colpa esista non solo se uno si riconosce tale, ma a prescindere. E non parlo, di ladri che rubano per fame o dei "peccatori" di cui ci ha parlato De Andrè nelle sue poesie; no: parlo di situazioni ben più gravi. Chi di voi sarebbe pronto a giustificare appellandosi alla moralità o a una particolare "visione del mondo" l'Olocausto o le pulizie etniche che si compiono, ancor oggi, in diverse parti della Terra? Chi potrebbe giustificare i terroristi che si fanno esplodere sui bus o nei bar, o che si gettano con una bomba sugli scuolabus pieni di bimbi? O chi compie le mutilazioni genitali, o i sequestratori, o gli stupratori e i mercanti d'organi, piuttosto che i turisti sessuali? Io questa gente la GIUDICO COLPEVOLE e non davanti a Dio, ma davanti all'uomo.
E' anche il grande tema che affronta Dostojevski nei "Fratelli Karamazov", in "Delitto e castigo" e ne "I Demoni", il tema del "Tutto è possibile". Se Dio non c'è (ma in una visione laica della vita si potrebbe dire "se non c'è giudizio di colpevolezza davanti all'uomo"), allora tutto è possibile, tutto è relativo; la mia moralità e la mia visione del mondo mi giustifica. Ivan Karamazov, nella sua "ribellione a Dio" (in pagine memorabili) giunge a pianificare, tramite il suo fratellastro Smerdjakov, l'omicio del padre, salvo poi, una volta resosi conto di ciò che ha fatto, cadere nella follia e nella febbre cerebrale.

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venerdì 25 gennaio 2008

Lettera al Senatore Strano

Inserisco la bellissima lettera che Roberto ha scritto al senatore, se così si può chiamare, Strano

Egr. Senatore Strano,
Le scrivo per farLe i miei "complimenti" circa il suo comportamento tenuto ieri sera in Senato.
Ciò che io, e milioni di italiani, hanno visto ieri in televisione, mi ha lasciato particolarmente indignato: il Suo attacco verbale contro il senatore Cusumano è stato vile, oltraggioso e di una particolare maleducazione e intolleranza. Mi chiedo cosa possano pensare ragazzi giovani che si affacciano da poco al mondo della politica con passione e buoni propositi (come non so cosa possano pensare i Suoi figli, se ne ha, circa il comportamento e l'insegnamento del padre...) e che assistono a un Senatore della Repubblica Italiana urlare a un proprio collega, che stava facendo una scelta legittima e libera, "Sei una merda!", "Sei un cesso!" e "Squallida checca!".

Complimenti, infine, per la Sua scorpacciata di mortadella: un'altra fine dimostrazione di rispetto verso il Presidente Marini, i Suoi colleghi del centro-sinistra e verso il presidente del Consiglio (che, peraltro, rappresenta, nel suo ruolo, anche Lei come cittadino italiano).

La Camera cui Lei appartiene è stata creata con l'idea che fosse un luogo istituzionale particolarmente "saggio", in cui le decisioni da prendere per il bene dell'Italia fossero dibattute da un gruppo di nostri concittadini che si presupponeva fosse, data anche la maggiore età rispetto ai colleghi deputati, serio, pacato e lungimirante.

Spero che l'elevata missione pubblica che lei ricopre per essere stato eletto a rappresentare i suoi connazionali, la faccia riflettere e tenere comportamenti più decorosi in futuro.

Saluti.

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lunedì 21 gennaio 2008

Il Papa e la Sapienza

Dopo aver letto il discorso che il Papa avrebbe tenuto all'Università La Sapienza di Roma, ho buttato giù questi pensieri.

Sicuramente sono encomiabili gli inviti del pontefice al rispetto per i non credenti, a non voler imporre la fede con autorità poiché "può essere donata in libertà".
Ma il problema, a mio avviso, è alla base. Scrivo queste righe con rammarico, con quel rincrescimento che è eredità della mia educazione cattolica.
Tutte le religioni monoteistiche, e nella fattispecie quella cristiana, hanno un impianto di base rigido e poco propenso al dialogo. Il motivo di questa affermazione è semplice. Creando una tavola di valori universali si costruisce una morale assoluta, si stabilisce cosa è bene e cosa è male e si procede poi alla spartizione di meriti e peccati. Ratzinger nel discorso mai tenuto a La Sapienza, avrebbe concluso con un riflessione sul ruolo pastorale della sua figura, ribadendo il suo impegno a "mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio".
Io non penso che qualcosa di trascendente possa essere sommo bene. Sono scettico di natura e metto in discussione ogni depositario di verità. Non so se Dio esista o meno, ma la verità non è qualcosa che taluni posseggano e altri no. Forse vivrò nell'errore, ma nessuno su questa terra può permettersi di dirmi che sto peccando. Un concetto, quello di peccato, che porta con se una valenza negativa, un senso di colpa con cui la cultura occidentale da sempre deve fare i conti.

Il concetto di colpa scaturisce dal riconoscimento della propria colpevolezza, ma se un atteggiamento, un pensiero o un fatto non vengono riconosciuti come errori o misfatti, il rimorso non dovrebbe scaturire. Esiste il peccato perché i peccatori si riconoscono tali.
Non mi sento peccatore se credo nell'uso del preservativo, non mi sento peccatore se penso che la legge sulla fecondazione assistita vada rivista, non mi sento peccatore se credo che la 194 non vada toccata. Il mio sistema di valori è diverso da quello di Joseph Ratzinger. E sono cosciente che la mia etica sarà diversa da chiunque legga queste righe, ma non ammanto di verità la mia visione del mondo. La mia è una delle tante possibili rappresentazioni della realtà. Arrogarsi il monopolio della verità è una forzatura del tutto umana.

Ratzinger avrebbe accennato anche al pensiero di Socrate, traendone le seguenti conclusioni: La verità ci rende buoni, e la bontà è vera: è questo l'ottimismo che vive nella fede cristiana.
Sinceramente credo sia una forzatura al pensiero del filosofo greco. Socrate affermava che la verità è sommo bene, non bontà. Si sarebbe chiesto che cosa fosse la bontà?
Ma soprattutto, il frutto più fecondo del suo interrogarsi era non giungere ad alcuna risposta, riconoscere l'impossibilità di possedere qualsiasi verità e mettersi alla ricerca. Non individuava un rimedio, poneva le basi dell'indagine filosofica.
E il suo punto di arrivo non era sicuramente ottimistico.

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lunedì 14 gennaio 2008

Sem Benelli

Inserisco l'analisi di un libro che ho recensito per mentelocale.it. Cliccate sul titolo del post per andare direttamente all'articolo sul sito.

In occasione del 130esimo anniversario della nascita di Sem Benelli, autore de La cena delle beffe, lo storico Sandro Antonini ha dedicato al poeta e drammaturgo il libro Sem Benelli. Vita di un poeta: dai trionfi internazionali alla persecuzione fascista.
Nato a Prato nel 1877, Sem Benelli trascorse gran parte della sua esistenza a Zoagli e vi morì nel 1949. Nella prima metà del '900 i suoi lavori conobbero notevole successo, ma successivamente il suo nome venne dimenticato.
Interventista e volontario durante la Prima Guerra Mondiale, perseguitato dal fascismo, Benelli fu protagonista attivo del suo tempo. Spesso è stato definito come l'alter ego di Gabriele D'Annunzio. In molti oggi conoscono la "Cena delle beffe", ma in pochi sanno qualcosa del suo autore.
Perché - domando ad Antonini - Benelli ha ottenuto un trattamento così diverso dalla storia? «Nonostante le sue opere avessero un'originalità propria - risponde - quelle di D'Annunzio erano qualitativamente superiori. La sua fama poi ha anche risentito del clima culturale instauratosi nel secondo dopoguerra. O forse, fu semplicemente sfortunato».
Benelli non aderì mai al fascismo, fu perseguitato e costantemente sorvegliato dall'Ovra, ma guardò con una certa simpatia a quella che a suo dire fu la funzione moralizzatrice della marcia su Roma. Forse - azzardo - ha scontato l'incapacità di condannare immediatamente eventi che si contraddistinsero da subito per la loro antidemocraticità.
«Non credo - risponde l'autore della dettagliata monografia - molti intellettuali che durante il ventennio avevano la tessera del partito, dopo l'8 settembre si costruirono una verginità antifascista e in seguito non patirono alcuna damnatio memoriae. Benelli invece no. Non scese mai a compromessi con il regime e fu uno dei pochi a condannare da subito le leggi razziali. Dopo l'assassinio di Matteotti fondò uno dei primi movimenti antifascisti, la Lega italica. Indubbiamente - continua - fu un irresoluto, in un regime che mal sopportava qualsiasi forma di dissenso, pensò di poter ritagliare un piccolo spazio di libertà alla propria arte. In un certo qual modo cercò di sfruttare il fascismo a proprio vantaggio».
Le opere di Benelli furono seriamente osteggiate. Guastatori e squadristi ne impedirono spesso le rappresentazioni a teatro e la censura fu una costante spada di Damocle su ogni sua nuova fatica. Nonostante questo, partecipò alla guerra d'Etiopia e fu persuaso che Mussolini fosse all'oscuro delle persecuzioni che gli impedivano di vivere della sua arte. Azzardo, miopia nel non saper leggere la situazione così come in realtà si presentava?
«È bene sottolineare - precisa - che la guerra in Abissinia, come già rilevato da Renzo De Felice, fu un evento che travalicò il fascismo. In molti la vissero come un'avventura esotica. Dal porto di Genova - continua - furono tantissime le persone che si imbarcarono per andare in Africa. Fu quasi un modo per lasciarsi l'Italia alle spalle, un fuoriuscitismo legalizzato».
«Sicuramente - conclude - Benelli fu di un'ingenuità massima. Mussolini sapeva tutto e non credeva nel suo allineamento al regime. Guardava a lui con una certa diffidenza e lo considerava un anticorporativista. Per questo fu costantemente sorvegliato dalla polizia politica. E dopo Caterina Sforza fu osteggiato anche dalla Chiesa. Insomma, era un uomo esasperato. Seguito e spiato in continuazione, cercava in ogni modo di ritagliarsi uno spazio d'aria».
Il libro di Antonini è un prezioso documento che riconosce i giusti meriti ad un artista da troppo tempo dimenticato. Ma è anche una minuziosa e attenta ricostruzione di una delle pagine più drammatiche della storia italiana. Sono molti i documenti inediti che vengono presentati dall'autore, testimonianze che permettono di illustrare a fondo non solo le vicende di Benelli, ma anche le ambigue relazioni che intercorsero tra fascismo e cultura italiana. La vicenda dell'autore toscano - domando - può essere considerata l'icona del rapporto tra regime e intellettuali?
«Benelli - risponde Antonini - rappresenta la figura dell'intellettuale che non si rassegna, uno dei pochi a non sottomettersi. Agì sempre in maniera da poter essere se stesso, in modo da poter preservare la propria libertà. E pagò un prezzo altissimo».

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giovedì 3 gennaio 2008

La lettera di Roberto

Inserisco un contributo del mio amico Roberto

Non ho riflettuto a fondo sul tema dell' "infelicità e dell'essere ripiegati su se stessi". In generale però credo di no. Mi fanno ridere i commenti che spesso si sentono in relazione al fatto che "gli italiani viaggiano", che "vanno a cena fuori visto che i ristoranti sono pieni" e che quindi "non c'è crisi". Diciamo pure che queste cose sono appannaggio di pochi e i molti possono permettersi una pizza fuori casa al mese e, se va bene, un weekend lungo al posto delle ferie passate via.

Credo che l'italiano medio cerchi di racimolare quel poco che avanza per dare un futuro ai figli e ogni tanto togliersi qualche sfizio personale. Il problema è che da una decina d'anni a questa parte, la quota di salari destinati a ciò si è drasticamente ridotta fino ad arrivare quasi allo zero. Parlo ovviamente di redditi da lavoro dipendente. Chi ha potuto marciare sull'aumento dei prezzi penso che stia meglio di prima (professionisti, commercianti, albergatori, ristoratori)

Questo da un punto di vista materiale.

Da un punto di vista morale, credo che la stampa anglosassone si confonda: gli italiani non sono più infelici; ma si sono, secondo me, adeguati a un insieme di schemi, pseudo-valori e modus vivendi, imposti da quel rettangolo colorato che è la tv. L'imbarbarimento italico è dovuto alla progressiva e mi pare inarrestabile volgarizzazione dei costumi, delle parole, delle immagini; questa è la cosa che più mi preoccupa, anche guardando le nuove generazioni sugli autobus e notando questa volgarità in tutta la sua pericolosità e meschinità.

Sui giovani, direi che la precarietà lavorativa incide molto, sui progetti di vita, sulll'umore e sulla loro positività intrinseca. Ma credo che se ne possa venir fuori. La disoccupazione è bassa ( negli anni ottanta e inizi '90 era in doppia cifra, ora è scesa di molto). Il grosso problema è la questione salariale e pensionistica che grava su di noi. Su questo dovranno necessariamente intervenire le classi dirigenti sperando in qualche soluzione concordata che tuteli le classi più deboli. Purtroppo questo non mi pare essere una prospettiva a breve termine, visto che, ogni qual volta si parla di riforma pensioni o di redistribuzione del reddito, salta su il Montezemolo di turno a criticare la spesa pubblica et similia. E i governi di centro-sinistra sono subito pronti a dargli ragione!

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