lunedì 22 dicembre 2008

Amarcord



«Se troviamo parcheggio - disse mio padre - ti porto a vedere il Genoa».
Era il 19 aprile 1987, mio nonno era morto da circa un mese e, con la vecchia Alfa 33, accompagnavamo mia madre a Staglieno: il cimitero monumentale più grosso d'Europa dista poche centinaia di metri dallo stadio Luigi Ferraris. Due mesi dopo sarebbe nato mio fratello.

Era la stagione 86/87, il Genoa era ovviamente in serie B, ma stava disputando un campionato di vertice. Quella domenica si giocava contro il Pisa, andammo in curva e quelle maglie rossoblù, che ricordo ancora come vecchie figurine Panini, pareggiarono 1 a 1.
Tra tutti i giocatori mi rimase impresso Cervone e, forse, proprio a causa sua ho scelto di disputare la mia breve carriera calcistica tra i pali. Quella stagione finimmo sesti a 42 punti, dietro Pescara, Pisa, Cesena, Lecce e Cremonese. L'ultima partita, quella decisiva, la disputammo contro il Taranto sul neutro di Lecce. I pugliesi si dovevano salvare, noi dovevamo vincere per salire. Perdemmo 3 a 0, Trevisan in una maschera di sangue, io che fremevo alla radio e sulle scale di casa un amico doriano che mi sfotteva.
L'inizio di un'amore
.

Molti sono i ricordi d'infanzia legati al calcio: la passione per il giuoco catturò immediatamente la mia attenzione. Mentre frequentavo asilo e scuole elementari, i campi italiani erano calcati da Michel "Le Roy" Platini. La mia maestra, suor Emilia, era tifosa juventina e in classe esibiva sciarpa e orologio bianconero, se non addirittura gigantografie del fuoriclasse francese.
Del primo giorno di scuola ho qualche ricordo annebbiato, ma ho invece ben impressa l'agonia del campionato cadetto 87/88. Quell'anno vidi Genoa-Messina: contro i siciliani, allenati da un certo Franco Scoglio, vincemmo 3 a 1. Ma fu una stagione pessima, il campionato del Solo chi soffre sa amare. Arrivammo all'ultima giornata appaiati al Modena a quota 30 punti. Ci giocammo la salvezza al Braglia. Mio padre decise di non seguirla e con tutta la famiglia optammo per un pomeriggio al parco del Peralto. Mio fratello era in passeggino, ma la testa era altrove. Di ritorno dalla passeggiata chiedemmo notizie: erano buone. Scanziani e Briaschi ci salvarono dalla C.

Ecco, questa è la sofferenza in cui ho mosso i primi passi da tifoso. Oggi, a vent'anni di distanza, ripenso ancora al giorno in cui entrai in curva per la prima volta. Negli anni ho vissuto gioie e delusioni sportive, più le ultime che le prime a dire il vero, ma la mia identità di genoano ha il volto di
Marulla: il mio primo beniamino.
Di partite ne ho ho viste e ascoltate tante, mai, però, dimenticherò la voce della radio, quello stereo
Hitachi che ogni domenica mi cullava nella sofferenza e mai, infine, scorderò l'esultanza assieme a mio padre per un goal segnato. Molti rideranno leggendo queste righe, ma il Genoa, come una madeleine, mi conduce alla ricerca del tempo perduto.

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domenica 21 dicembre 2008

I cerotti non piegano il Grifone



Trovo sinceramente difficoltoso commentare la vittoria di Verona. Il Genoa si presentava al Bentegodi con gli uomini contati, orfano di Milito e di fronte un Chievo bisognoso di punti per lanciare la rincorsa alla zona salvezza. Insomma, nonostante si giocasse contro l'ultima della classe, i presupposti per concludere l'anno in bellezza non erano così scontati.

Sul campo la partita è stata obiettivamente brutta. La squadra di Di Carlo ha iniziato con maggior brio rispetto ai rossoblù, senza per questo impensierire oltremodo Rubihno. Dopo l'incornata iniziale di Yepes, proprio un goffo intervento dell'estremo genoano ha creato apprensione nella difesa ligure che, nonostante l'assenza di Ferrari, ha esibito sufficiente solidità.
Il Genoa dal canto suo ha impostato la gara sul possesso palla: Juric a rompere, Motta a costruire e in avanti Olivera a sostituire Milito. Proprio l'uruguaiano è stato protagonista di una delle azioni più pericolose del primo tempo: imbeccato da un'ottimo Criscito, il Pollo si procura e calcia una punizione che finisce di poco a lato. La seconda, invece, capita sulla testa di Vanden Borre, che, ben servito da Jankovic, appoggia debolmente sprecando una ghiotta possibilità.
Lo spettacolo latita, i goal pure e il tempo termina sul punteggio di parità.

La ripresa vede i padroni di casa alla ricerca spasmodica del gol e solo il palo salva Rubihno sulla girata di testa di Pellisier. Il Genoa più facilmente riesce a rompere l'azione degli avversari, mentre in fase di possesso non trova punti di riferimento su cui imbastire l'azione. La difesa e il centrocampo reggono, ma vacillano, quando il palo prima, e Rubihno poi, negano a Esposito e a Pinzi un vantaggio che, tutto sommato, sarebbe stato meritato.

Privo di Milito, l'attacco rossoblù incontra oggetive difficoltà: Jankovic e Vanden Borre intepretano bene il ruolo che Gasperini ha loro riservato, mentre Olivera è autore di una prova opaca: incapace di far salire la squadra, protegge poco la palla e, spesso, si è fa trovare fuori posizione.
Ma il calcio, si sa, spesso è beffardo.
Proprio quando il risultato sembrava ormai accontentare i contendenti, Olivera, ben servito da Juric, si libera in area e trafigge Sorrentino: il vantaggio rossoblù resisterà fin oltre i sei minuti di recupero, permettendo al Genoa di cogliere la prima vittoria lontano da Marassi.

Per onestà, è giusto dire che il Chievo non meritava la sconfitta, ma la vittoria di Verona è preziosissima. Non solo poichè conseguita in un momento di emergenza, ma sopratutto perchè pareggia i punti persi in casa con il Bologna. A due giornate dalla fine del girone di andata, il Grifone recupera punti sul Napoli e impreziosisce il proprio ruolino di marcia: l'anno si chiude nel migliore dei modi, l'augurio è che il prossimo si apra ancor meglio!

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sabato 20 dicembre 2008

Sotto questo sole...


Sto leggendo L'eleganza del riccio di Muriel Barbery e il capitolo che ho appena terminato ha esposto il pensiero di Guglielmo di Occam.
Vi starete chiedendo: «chi se ne frega?». Avete ragione. Ma se continuerete a leggere vuol dire che, anche se solo un pizzico, vi siete incuriositi. E che, alla fine della fiera, ve ne frega!

Guglielmo ha dedicato gran parte della sua vita allo studio degli universali e dei particolari, giungendo alla seguente conclusione: gli universali, ovvero quei concetti a cui i particolari partecipano, non esistono nella realtà.
Mi spiego meglio. Prendiamo un tavolo. Ebbene, per Occam non esiste un 'idea generale di tavolo che racchiuda in sè tutte le qualità dei tavoli esistenti. Esistono, invece, solo i particolari, ovvero quegli oggetti che i nostri sensi percepiscono come tavoli.

Per il filosofo del famigerato rasoio esistono solo i singolari, o meglio:
esistono solo le cose che percepiamo come reali. Gli universali, di conseguenza, sono solo una complicazione del pensiero e qui risiedono. Solo il semplice, o meglio il particolare, ha riscontro effettivo nella realtà.

Ma la realtà, io mi chiedo, che cosa è?
Quello che noi percepiamo come reale, infatti, non è necessariamente vero, ma solo una delle possibili rappresentazioni della realtà. Ogni essere umano, in definitiva, costruisce la propria visione del molteplice in base a come lo percepisce, vive e si muove nel mondo a seconda di come ha imparato a conoscerlo attraverso i propri sensi.
E allora continuo: chi mi assicura che quello che io percepisco come tavolo sia realmente tale? Nessuno.
È solo per convenzione che la maggior parte degli essere viventi attribuisce a questa parola una forma ben definita, la realtà, o meglio, una delle tante possibili, potrebbe essere differente.

È prerogativa del tutto umana, quella di porre il proprio percepire alla base del reale. Le sicurezze sulle quali si costuisce l'immagine del mondo, sono tali solo per chi ne ha bisogno.

E allora voglio concludere con una domanda, ognuno dia la risposta che più crede opportuna: il sole esiste perchè lo penso, o penso al sole perchè esiste?
Io credo di non avere più alcuna certezza.

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domenica 14 dicembre 2008

Sculli salva il Genoa



Il Genoa acciuffa il pareggio per i capelli e mantiene il sesto posto in classifica.
Dopo l’ubriacatura del derby, la squadra di Gasperini inizia con il piglio giusto illudendo il pubblico del Ferraris: il palo di Milito, dopo la bellissima combinazione Milanetto-Sculli, è il primo segnale di una giornata difficile.
L’Atalanta, da par suo, si dimostra squadra solida e ben disposta in campo, in grado di sfruttare con Floccari il primo ribaltamento di fronte e infilare Rubinho con un preciso diagonale. Resta qualche dubbio sul modo con cui l’attaccante atalantino si libera di Sokratis.

Sotto di un goal il Genoa perde lucidità, soffre a centrocampo e rischia addirittura di capitolare per la seconda volta. Le tossine della stracittadina rendono impacciata la squadra, che, in fase di impostazione, paga le imprecisioni di Motta e Milanetto. I lombardi chiudono il tempo in vantaggio, confermandosi sempre più la nemesi rossoblù.

Nella ripresa entra Vanden Borre al posto di Papasthathopoulos, ma il torpore genoano prosegue fino all’espulsione di Bellini: doppia ammonizione per fallo su Sculli e Genoa in superiorità numerica.
Entra Jankovic, ma, il vantaggio numerico, dura poco: Milanetto commette fallo di reazione e pareggia il conto degli uomini in campo. La partita è dura e spigolosa e, a dire il vero, anche un pò bruttina.
Icona della gara, l’entrata criminale di Rivalta su Palladino: fallo da dietro all’altezza del ginocchio e sospetta distorsione per l’attaccante. Nuovamente in superiorità, il Genoa spinge sull’acceleratore, riuscendo infine ad acciuffare il pareggio allo scadere con una precisa incornata di Sculli.

La squadra di Gasperini trova il secondo pareggio casalingo ma, a differenza di quello maturato con il Bologna, può considerare il punto contro l’Atalanta uno scampato pericolo. Alla vigilia le aspettative erano diverse, ma, tenuto presente l’andamento della partita e la cattiva forma fisica di Milito, costretto a giocare con un’infiltrazione, ci si può accontentare anche di metà della posta in palio.
Considerati i risultati, il Genoa mantiene immutato il vantaggio su Atalanta, Lazio e Udinese, mentre perde punti su Fiorentina, Napoli e Roma.
Resta la spiacevole sensazione di aver perso nuovamente un treno interessante.

Alcune considerazioni infine: incomprensibile e inaccettabile la reazione di Milanetto in un momento delicato della partita. Sotto di un goal e in superiorità numerica, la squadra aveva bisogno di tutti i suoi effettivi per ribaltare la situazione. Ora il play rossoblù rischia due giornate di stop.
In vista della delicata trasferta di Verona, poi, preoccupa la situazione degli indisponibili: oltre a Mesto, Olivera e Gasbarroni, mancheranno anche Sculli, in squalifica, Ferrari, Palladino e Milanetto. Restano poi da valutare le condizioni di Juric, mentre Milito è apparso visibilmente affaticato.
Il Chievo non sarà assolutamente uno sparring partner…

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lunedì 8 dicembre 2008

Milito: Principe del derby



Il derby non è una partita come le altre. L'ipocrisia di chi afferma il contrario è costantemente smentita dagli atteggiamenti dei calciatori, dalla passione dei tifosi e dal fermento di una città intera.
Novanta minuti di pura sofferenza e una settimana di totale irrazionalità: statistiche, cabale, stati d'animo altalenanti e tachicardia da stadio.
Inutile spiegare cosa significhi vincere o perderne uno: certe cose restano inspiegabili ai più. Un rito collettivo da consumare e condividere solo con chi prova le stesse emozioni.
E allora, spero mi perdoneranno i miei amici doriani, dopo una settimana in cui predicavo proditoriamente la sconfitta, a poche ore dall'inizio, ho avuto la premonizione della possibilità contraria: il tramonto sopra Genova, dopo una bellissima giornata autunnale, aveva i colori rossoblù. Non posseggo arti divinatorie, ma come un etrusco aruspice, ho letto il segnale in chiave propiziatoria.


Il derby è questo e molto più. Per scaramanzia è decidere di andare al campo con la macchina di un amico, è cambiare la fedele divisa da stadio perchè agli occhi della sorte non si tratta di una partita casalinga, è scegliere accuratamente ogni gesto compiuto per non alterare un meticoloso rituale che potrebbe condurre alla vittoria e, ovviamente, tante prese per il culo.
Lasciatemi passare il vocabolo, ma il calcio è anche questo: l'amore più disinteressato accompagnato dal turpiloquio più fantasioso.
Secondo FootballDerbies.com, infatti, il derby della Lanterna sarebbe tra le stracittadine più sentite di tutto il mondo e, indubbiamente, il primo d'Italia. E, se a guidare le due compagini avversarie sono due campioni del calibro di Cassano e Milito, ebbene, ecco spiegata la speciale alchimia del 99° derby di Genova.


Non c'è derby senza folklore e, ancora una volta, le due tifoserie hanno dipinto lo stadio con i colori dei rispettivi vessili. E pazienza se sul rettangolo di gioco, invece, di spettacolo ne sia apparso poco.
La partita è stata nervosa, rude, con interventi al limite del regolamento. Da un lato Milito ha saggiato le cure amorevoli di Campagnaro, Gastaldello e Accardi, dall'altro Cassano è stato accolto dagli abbracci poco fraterni di Milanetto e compagni.

Ma non voglio fare il finto sportivo, il commentatore corretto ad oltranza o passare per il Fazio della situazione: alla fine quel che conta è la vittoria!
E la bilancia del Ferraris, questa volta, ha pesato a favore del Genoa, trascinato al trionfo da Diego Milito.

L'eleganza aristocratica del Principe illuminato, unita alla spietatezza, sportiva s'intende, del barbaro saccheggiatore: questa la perifrasi migliore per descrivere l'imperioso stacco di testa che, al 5' del secondo tempo, ha permesso al Genoa di aggiudicarsi il match.

In una partita così sentita, ovviamente, non potevano mancare le recriminazioni, peraltro condivisibili, per un goal annullato all'imberbe Fornaroli.
Ma lasciatemi scrivere: così la vittoria è ancor più bella.
Almeno fino al prossimo derby!



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