giovedì 3 luglio 2008

Giorello e i confini delle donne

'Confini' è il titolo di una serie di incontri, conversazioni e presentazioni con prestigiose personalità del mondo della cultura, nell’ambito del Genova Urban Lab Summer Festival 2008. Il cartellone propone circa 50 eventi, tra spettacoli teatrali, di cabaret, mostre e appuntamenti d’arte. Giulio Giorello, autore di numerosi volumi a cavallo tra filosofia e storia della scienza tra cui 'La scienza tra le nuvole', 'La filosofia della scienza nel XX secolo' e 'Di nessuna chiesa', assieme a Nicla Vassallo ha aperto la rassegna con l'incontro 'I confini delle donne'. Ecco l'intervista.

Il titolo della rassegna porta a riflettere sul concetto stesso di confine.
Secondo lei, professore, i confini sono da considerare segni di identità oppure ostacolo alla tolleranza reciproca?
«I confini hanno una loro ragion d'essere, sono i punti che distinguono una regione dall'altra. Funzionano come la pelle di un individuo, separando la regione interna da quella esterna. Detto questo, non devono però essere considerati in termini assoluti, diventerebbero altrimenti un ostacolo allo scambio di idee e alla cultura. Sarebbe più opportuno guardarli in maniera relativistica».

Una caratteristica ambigua, quindi, quella del confine?
«È la sua natura. Prendiamo ad esempio il limite tra Italia e Francia: è italiano o francese? Il confine è uno strumento, e per non farlo diventare mezzo di oppressione lo si deve considerare come tale. È il mezzo che deve servire noi, non viceversa».

Assieme a Nicla vassallo, ne avete parlato in una declinazione particolare. Oggi le donne sono ancora 'confinate' come in passato?
«Sì, purtroppo oggi sono confinate dentro frontiere poco nobili, basti guardare la scarsa presenza femminile negli organismi decisionali. In Italia, poi, questo aspetto è ancor più accentuato rispetto ad altri paesi europei. Ed è innegabile che parte di questo stacco sia da ricercare anche nelle forme di discriminazione perpetrate dalla Chiesa cattolica. In Inghilterra - continua - già nell'800, filosofi come John Stuart Mill e Harriet Taylor volevano realizzare l'eguaglianza ed emancipazione femminile, rompere quei vincoli che limitavano la libertà delle donne. Ecco, oggi il nostro paese paga questo ritardo e se aggiungiamo la complessità della situazione italiana, il razzismo, il timore dello straniero, del diverso, ebbene, ecco spiegata la costellazione di sopruso che deve soffrire l’altra metà del cielo».

Come si possono superare questi limiti?
«Con l'abbattimento e la cancellazione di confini immotivati, degli abusi. Con un rinnovamento della società intera e tenendo ben presente una semplice ed elementare norma: non opprimere gli altri e nemmeno farsi opprimere, perché la rassegnazione è l’altra faccia dell’oppressione».

E la famiglia, come istituzione, non limita la libertà femminile?
«Io la metterei in questi termini: nel 1643/44 John Milton scrisse 'Dottrina e disciplina del divorzio'. Tra le motivazioni previste per lo scioglimento, oltre l'adulterio e l'impotenza a generare dei figli, inseriva l'oppressione di uno dei coniugi sull’altro, una situazione a cui si poteva reagire solo con la ribellione. Una posizione molto libertaria. Questo per dire che in uno stato laico il matrimonio è un contratto, e non vedo perché ci debbano essere contratti più naturali di altri».

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