domenica 6 luglio 2008

Diamante


Mentre il cuore pompava sangue in sincrono con il movimento del corpo, il rumore dei passi mi accompagnava sul sentiero. Ne sentivo il rumore. Il percorso non era difficile, ma avevo solo voglia di perdermi: solo, percorrevo a buon passo la distanza che mi separava dal forte. Avete mai desiderato il frastuono del silenzio? Il vento accarezzare le guance? Questo cercavo: la più profonda solitudine per ritrovare me stesso.

L'incertezza della nebbia nascondeva i miei obiettivi. Non li vedevo, ma sapevo esserci. Non basta la solitudine per essere veramente soli: il rumore dei motori e gli scoppi dei fucili erano lì a ricordarmi che mai sarei stato l'unico. Gambe affaticate, labbra socchiuse e respiro irregolare, mi ricordavano che ero carne. Desideravo la nebbia, volevo perdermi dentro. Così, forse, avrei scoperto chi in realtà fossi. Se lo avessi saputo, avrei vissuto. Le campane del borgo mi ricordavano che la città era poco più sotto, ma quel giorno ero distante. Potevano suonare, abbaiare, sparare: ero solo. Avanzando nella nebbia, contorni liquidi e opachi si facevano a poco a poco nitidi, svelavando d'improvviso le immagini contenute.

Poi il freddo. Quello no, non si poteva allontanare. Era il freddo dell'anima, di quella parte che in realtà non voleva essere sola, che avrebbe voluto condividere con qualcuno l'ascesa . Non c'era nulla attorno a me, ma sapevo esserci il mondo intero. Volevo solo dimenticarmene per un attimo. Pensavo di arrivare in cima e affidare le mie sensazioni ad un taccuino, ma nessuno avrebbe mai potuto capire il mio cammino. Neppure io. Non restava quindi che smarrirsi nel bianco e lasciare che il freddo mi bruciasse le dita.

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