sabato 17 gennaio 2009

Dio è fuori mercato


All'articolo 8, così recita la Costituzione Italiana: "Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge".
Evidentemente, però, non lo sono di fronte alla pubblicità.


In tempi di libero mercato, di libero resta ben poco e il mercato, soprattutto nella variante italiana, è soggetto a decisioni che suonano vagamente protezionistiche. A seguito delle indignate proteste di associazioni cattoliche e politici ferventi, capeggiati da Goffredo Plinio di Buglione, l'impossibilità di comprare uno spazio pubblicitario per gli atei della Uaar, suona come uno dei tanti fallimenti del liberismo. La dottrina economica del libero scambio, come canterebbero i Baustelle, ha i giorni contati.


Scherza con i fanti e lascia stare i santi
: la fede non si tocca e, tanto meno, è soggetta alle leggi di mercato!
Questo, in sintesi, l'insegnamento da trarre dalla vicenda. Il dogma, per sua definizione, è indiscutibile. E chi lo mette in discussione è immorale: a quasi mille anni dalla prima crociata, tanti e significativi passi in avanti sono stati compiuti. Zero.
Nella società del consumo tutto può, ed è stato, commercializzato. Ma di fronte a Dio, anche i potenti mezzi pubblicitari hanno dovuto chinare la testa. Dio c'è. E nessuna discussione. Al cospetto della fede, anche la pubblicità ha un'anima, tanto che una campagna può essere bloccata in nome di Dio: altro primato del tutto italico da esporre in bacheca!


Caro Dio, dato che non posso neppure scrivere che non esisti, mi rivolgo a te fiducioso di essere ascoltato: lo vedi il casino di Gaza, ebbene se ci sei fai qualcosa. Non mi raccontare, però, che il tuo disegno è imperscrutabile, perchè è da duemila anni che prendi tempo con la solita storia. Noi uomini viviamo nel mondo tangibile e qualcuno mi ha detto che con lo spirito, ormai, non si lavano neanche le scale.
Resto in attesa di una tua risposta.
Sempre tuo,
Figlio Dubbioso.

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