giovedì 8 gennaio 2009

Caro Adriano...


Pubblico la bellissima lettera che Alessio Rassi ha inviato al quotidiano La Repubblica, dopo la pubblicazione dell'articolo Il sacrificio dei bambini di Adriano Sofri.


"L’odio chiama odio.

Lo dice il cinema da sempre in molte delle sue migliori rappresentazioni, lo dicono i libri di Storia, lo dicono le immagini che più di ogni parola sono in grado di mostrarci la realtà per quello che è.
Mi rivolgo a Lei, Adriano Sofri, al suo bellissimo articolo dal titolo Il sacrificio dei bambini. Mi rivolgo a Lei così come Sam Bicke - interpretato magistralmente da Sean Penn in The Assassiation of Richard Nixon - si rivolge al maestro Leonard Bernstein, con quell’impeto e ammirazione che sfociano, anche in questo caso, nella rassegnazione. Nella rassegnazione di un conflitto che vede nella morte dei bambini la sua più alta ferocia.

L'orrore ha un volto. In questo periodo più volti che si moltiplicano sugli schermi di tutte le tv come una goccia di petrolio in mare. E’ in essa, nella morte di un bambino, di qualunque volto innocente, che si dovrebbero trovare le motivazioni per non perpetrare ulteriormente eccidi simili. Lei cita perfettamente la cosiddetta “strage degli innocenti” di Erode e i dubbi sulla sua veridicità. Francois Marie Arouet, più comunemente Voltaire, scrisse che «La storia è il racconto di fatti ritenuti veri, al contrario della fabula che è il racconto di fatti ritenuti falsi». Ma anche una strage di 20 fanciulli o di 10, o di uno soltanto è un fatto talmente vero e reale che dovrebbe insinuarsi nella coscienza di ognuno di noi come il peggior incubo a coglierci di notte dopo una giornata piacevole. Invece il conflitto in quella tonnara che prende il nome di Gaza ha, nell’assuefazione alla morte dei suoi spettatori, la peggiore delle armi di distruzione di massa. O per lo meno anestetizza le coscienze di mondi tanto lontani quanto “esotici” a chi si ripara al di qua dello schermo.

La morte ci rende tutti uguali, affermazione banale di questi tempi. Ecco la relatività di cui parlava Einstein.
La morte non dovrebbe essere cosa intima? Non dovrebbe renderci sì uguali quanto diversi gli uni dagli altri? Eppure nel vedere i corpi esanimi di quei bambini, i loro abiti sdruciti, sozzi di polvere e sangue fa pensare che per loro, per il loro popolo e per tutti quelli come loro, rei di essere dei “civili”, la pace forse non si troverà neanche al di là delle acque oscure. E per quanto uno possa sforzarsi di cercare le risposte sa che non cambierà nulla e che le bombe continueranno a mietere vite la cui unica preoccupazione dovrebbe essere non quella di essere necessariamente felici, ma uguali ai vivi. I sopravvisuti cresceranno nell'odio. In quell'odio che da sempre chiama odio come un virus della follia. E non ci sarà pace perchè non c'è coscienza.

Commodiano scrisse: «E’ tempo di credere alla vita, in tempo di morte». Di sicuro non qui, non ora. L’unica cosa che possiamo fare, come ha scritto, è continuare a pubblicare le immagini, la realtà."

Alessio Rassi

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