venerdì 3 ottobre 2008

Stranieri: salvateci dagli italiani



Per la prima volta di fronte al Colosseo, alcuni giorni fa, mi sono commosso. Alle mie spalle ho percepito il senso della storia, il valore di una civiltà di cui faccio parte e, stupefatto, ho pensato che l'Italia potrebbe davvero essere il più bel paese del mondo. Il condizionale era d'obbligo, il tempo verbale tutto sommato più coerente per esprimere le diverse opzioni del reale, e nel caso della nostra penisola, quello più calzante per manifestare il grado di ipotesi in questione: l'irrealtà.
Avrei voluto titolare questo intervento L'Italia che vorrei, ma alla fine ho ripiegato su una frase che ho letto sul muro di un palazzo, una provocazione che ben esprime lo stato d'animo di chi ama il Belpaese, ma allo stesso tempo ne è spaventato. Sì, io ho paura: temo l'Italia e gli italiani.

Ho deciso di rimanere nel mio paese perchè qui ho tutti gli affetti più cari, ma non è più tempo di tacere, non voglio essere ricordato come un complice dell' in-civiltà che sfrutta, picchia, uccide ed emana leggi autoreferenziali. Userò l'unica arma che sono in grado di impugnare: la penna.
La strage di Castel Volturno, il barbaro assassinio di Abdul a Milano, il pestaggio di Emmanuel a Parma e l'aggressione di Torbella Monaca, palesano la paura di un popolo incerto, in piena recessione economica, sfiduciato e cronicamente senza memoria. E quale paura più semplice da instillare, se non quella nei confronti di chi viene percepito come altro o diverso da noi?

Ho passato un anno in Servizio civile nell'ufficio immigrazione dell'Arci, e posso assicurare che la stragrande maggioranza di cittadini stranieri, regolari e no, lavorano al pari di quei nostri concittadini che nei primi del '900 andavano in cerca di fortuna oltreoceano. È ora di smetterla con l'ipocrisia della tolleranza zero e dei calci in culo agli irregolari: quanti gli imprenditori che utilizzano questa manodopera perchè a basso costo? Quanta parte della nostra economia si basa sullo sfruttamento di questa categoria di lavoratori? Occorre anche precisare come la clandestinità non sia una categoria dell'essere, ma un termine coniato da chi crede opportuno distrarre le masse dai veri bisogni delle persone. Disoccupazione, mal governo, ricerca, sicurezza sul lavoro e del lavoro, vivibilità, energie rinnovabili e lotta alle mafie, ad esempio, sono soltanto alcuni dei veri bisogni degli italiani.
Chi parte dalla Costa D'Avorio, dal Ghana, dal Marocco, dall'Albania, dall'Ecuador, dal Perù o dalla Cina, ebbene, non parte come clandestino, ma come essere umano costretto ad una scelta, che entra nell'illegalità non appena mette piede nel nostro paese per colpa di una legislazione inefficace e oscurantista.

Spesso sento dire che gli italiani, a causa degli extracomunitari, non sarebbero liberi di uscire per strada. Ma la placca di titanio che salda la mia mandibola, è il gentile lascito di quattro italianissimi giovani.
È comprensibile avere paura in questo momento storico, ma dovrebbero essere le pagine già scritte dall'uomo a soccorrere il genere. Non passa giorno, invece, a cui non si assista allo sdoganamento di ideologie smaccatamente razziste e xenofobe.

Il cittadino straniero è come me, persegue la felicità e vuole il meglio per i propri figli, non è un mio nemico perchè affolla la metro, non è un mio nemico perchè si diverte dove lo faccio io, non è un mio nemico perchè lavora. Non è un mio nemico. Punto. Ha doveri, ma non posso pensare che ottemperi solo a questi quando non garantisco i suoi diritti.

Questo, forse, abbiamo dimenticato.

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