martedì 7 ottobre 2008

Giù le mani dalla movida


Movida sì, movida no. Locali a mezzo servizio o per tutta la notte? Questo il problema.
La dicotomia amletica che sta animando il pubblico dibattito cittadino, mi ha portato a riflettere, cercando di capire le ragioni dell’una e dell’altra parte. A dirla tutta non è facile sciogliere il nodo gordiano che trova contrapposte le due opposte fazioni: da un lato la vitalità dei carruggi è il valore aggiunto della notte genovese, dall’altra i residenti del centro storico si trovano ad affrontare un manifesto disagio ambientale.
Non semplice, quindi, dirimere la questione. Senza contare che il dialogo non è certamente incentivato dai divieti a grappoli che si abbattono sulla Superba. Locali chiusi, niente passeggiate in centro con una lattina in mano e, udite udite, un giro di chiave alla prostituzione. E che le puttane non si lamentino: con tutti i soldi che evadono! Non sono mie parole, ma di un autorevole esponente della giunta comunale.

Comunque, la questione è seria
. Perché pone il tradizionale problema sui punti di aggregazione, giovanile e non, nella nostra città. Sono nato e vivo tuttora in via Venezia, quartiere San Teodoro, e negli ultimi 15 anni ho assistito ad una lenta ma progressiva diminuzione degli spazi in questione. La biblioteca Rapetti ha chiuso da tempo, il campetto di via Digione è diventato un parcheggio, anche quello oratoriale ospita macchine, mentre la vecchia fabbrica del ghiaccio in piazza Raffaele Sopranis, storico edificio di interesse industriale, è diventato un ecomostro con Super Basko e parcheggi sotterranei. Anche i più anziani hanno pagato dazio: il sagrato dell’Anpi, dove gli avventori bestemmiavano per una carta calata male, non esiste più. Al suo posto sempre automobili.

Ai quartieri popolari urgono punti di incontro
, dove vedere gente e conoscere il prossimo, luoghi di discussione, dove avvicinarsi alle culture altre senza paure banali e immotivate. Questa la soluzione per l’intolleranza: la conoscenza reciproca. I cittadini stranieri non sono soltanto badanti o lavoratori, sono persone con una storia alle spalle, e magari se avessimo la possibilità di conoscerci, troveremmo tratti che ci uniscono uno all'altro. Ma purtroppo non esistono tali spazi e pure la chiesa ha abiurato il suo credo per abbracciare quello dell’accumulazione di capitale. I quartieri, oggi, sono semplici dormitori. Non si vivono più.

Ben vengano le Notti bianche e l’Urban Lab nelle sue molteplici sembianze, soprattutto se rappresentano una vetrina nazionale per Genova e un miglioramento della qualità della vita, ma non dimentichiamo che i genovesi vivono ora e 365 giorni all’anno. L’arena della movida, con i suoi pregi e tanti difetti, è uno dei pochi punti di aggregazione all’ombra della Lanterna, se morisse, oltre a riportare il centro storico indietro di 15 anni, diminuirebbe l’appeal di una città già in fase di decremento demografico. Una soluzione potrebbe essere la diversificazione, incentivando la vitalità anche nei quartieri e sostenendo la rivalutazione di zone destinate a diventare problematiche nel giro di alcuni anni.
Ma fino a quel giorno: nessuno uccida la movida. Almeno che il Tallone di Ferro non ci preferisca in casa, sulla poltrona e davanti alla tv assuefatti alla banalità catodica.

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