domenica 30 dicembre 2007

Tristi e depressi?

Qualche giorno fa ho assistito a un episodio curioso: due distinte signore da poco salite sull’autobus si accapigliavano per un posto a sedere. Mi sono venute alla mente le recenti inchieste del Times e del New York Times e, continuando a guardare la scena, ho pensato: tristi, depressi e anche nervosi. Sono questi i sintomi del malessere fotografato dalle inchieste anglosassoni? Dietro a due distinte signore che litigano, si nasconde forse un disagio sociale più profondo? Gli italiani sono davvero tristi e depressi? Non trovando da solo risposte, ho provato a porre ad altri le stesse domande.
«Dopo 3 anni di apprendistato - confida Marta (26 anni, disoccupata) - non mi hanno rinnovato il contratto. Ora sono a spasso e secondo te ho motivi per essere felice?». Non ha seguito il dibattito sui giornali, ma la sua logica stringente non fa una piega. «Avevo il contratto in scadenza a dicembre – continua – ma non pensavo ci sarebbero stati problemi. Se non avessi chiesto, non mi avrebbero dato neanche il preavviso».
Il lavoro sembra essere motivo di preoccupazione anche per Emanuele (27 anni, disoccupato). Laureato in ingegneria informatica, ne viene da due anni di contratto interinale. Esaurito il termine è rimasto senza lavoro. «Per i giovani – dice – è molto difficile disegnare il proprio avvenire. Non ci sono certezze, sembra di essere impotenti. Il merito non conta nulla e gli sforzi profusi non vengono ricompensati». Gli chiedo se l’Italia sia un paese in cui valga la pena vivere. «Si, - mi risponde – a patto però ci si accontenti di sopravvivere. Come si può pensare di rimanere se ad esempio in Spagna mi hanno offerto un lavoro che soddisfa le mie aspirazioni, ben retribuito e soprattutto di prospettiva? Se qui non avessi legami, partirei subito». Parole che mi suonano famigliari. Secondo l’inchiesta del Times, infatti, l’anno scorso il Pil spagnolo è cresciuto del 5%, dal 3% dell’anno precedente. L’Italia invece è andata in direzione opposta scendendo al 3%, dal precedente 5%. Dati alla mano, continuo a chiedere: «Ma gli italiani sono davvero così tristi e depressi?».
Elena, 28 anni, designer in uno studio di progettazione, è sfiduciata dalla politica: «La casta pensa solo alla propria conservazione, manca la volontà di cambiare le cose».
Matteo, 26 anni, impiegato di banca, ha invece seguito la vicenda sui giornali. «Non si può banalizzare, - dice – tutti i paesi industrializzati devono fare i conti con l’inversione demografica e la povertà. Non credo che la totalità degli italiani sia triste e depressa. Sicuramente, rispetto a 20 anni fa, siamo più disillusi. Soprattutto la generazione che sta entrando adesso nel mondo del lavoro, non ha valide ragioni per essere spensierata o ottimista. I giovani vivono l’incertezza della loro collocazione all’interno del mercato del lavoro e, di conseguenza, all’interno della società».
Prosegue il ragionamento Simone, 25 anni, neolaureato: «Io mi sento sconfortato, avverto difficoltà nel raggiungere gli obiettivi che mi piacerebbe perseguire. La nostra generazione ha meno prospettive rispetto a quella dei nostri genitori. Di questo passo, prima o poi, ci saranno violenti scontri sociali». E le generazioni precedenti, cosa ne pensano? Sono felici?. «Io non mi posso lamentare, - dice Maddalena - dopo 35 anni di lavoro mi sono finalmente riappropriata del mio tempo. Ma i miei figli che futuro avranno? Al momento non hanno un lavoro stabile, vivono in casa per necessità. Io ho 58 anni e, presto o tardi, mi piacerebbe diventare nonna!»
«Negli anni ’60 – conclude Antonio – c’era più speranza, c’era voglia di combattere per ottenere qualcosa. Genitori e figli devono scendere in piazza assieme!».
Le nuove generazioni vedono nebuloso il loro futuro, quelle più datate sono preoccupate per l’avvenire dei propri figli. E’ forse questo uno dei motivi per cui americani e inglesi ci vedono tristi e depressi?

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