mercoledì 12 dicembre 2007

Il Dalai Lama tra Usa e Italia - 1

Recentemente il Dalai Lama ha ricevuto dal Congresso americano la Medaglia d’Oro, la massima onorificenza civile che il Parlamento di Washington possa conferire. Ad officiare la cerimonia, George W. Bush in persona. Il presidente americano ha definito il leader spirituale un “ simbolo universale di pace e tolleranza ”. E ancora, rivolgendosi direttamente al governo cinese, ha così solidarizzato con la causa dell’indipendenza tibetana: “ E’ nel vostro interesse, scoprirete che è un uomo di pace e di riconciliazione ”. Trovo curiose le parole di Bush. Volendo tacere sulla politica estera americana dal secondo dopoguerra fino alla fine del secolo, gli Stati Uniti, dal 2001 ad oggi, non sono certamente stati i paladini della pace e della tolleranza. Le torture di Abu Graib, Guantanamo, i sequestri della Cia e i bombardamenti al fosforo bianco, non sono mie opinioni, ma fatti sui quali l’opinione pubblica internazionale ha versato fiumi di inchiostro. La “disinteressata” ospitalità americana stride, invece, con la freddezza con cui le istituzioni italiane hanno accolto il Dalai Lama. Il Governo non lo riceverà, Napolitano e Ratzinger neppure, il sindaco Moratti e i ministri Melandri e Bonino, solo in via strettamente personale. Solo Veltroni, Formigoni e Chiamparino, onore al merito, gli daranno udienza. La verità è che, mentre Bush strumentalizza la visita del Dalai Lama in funzione anti-cinese, l’Italia in virtù dei cospicui rapporti commerciali, non vuole irretire Pechino, che vede nel leader tibetano un pericoloso sobillatore. Mentre " l’elogio americano della tolleranza " nasconde le paure di un paese che vede nella Cina un pericoloso concorrente nella strategia di controllo delle risorse energetiche (guardare a proposito il film Syriana), l’indifferenza italiana, invece, rivela l’ipocrisia con cui nel nostro paese si guarda al gigante orientale. Da un lato, si agita lo spauracchio della concorrenza orientale, ma dall’altro, invece, quante sono le aziende che delocalizzano in Cina, ne sfruttano l’immenso serbatoio di manodopera sottraendo così ricchezza e occupazione al nostro paese, immettendo poi sul mercato un prodotto maggiormente concorrenziale? Le prospettive di crescita cinesi spaventano il mercato occidentale, ma nessuno si azzarda a denunciare la mancanza di diritti sindacali della classe operaia cinese. Ieri la presenza del Dalai Lama tornava utile a Bush, oggi è invece scomoda per l’Italia. Il motivo è però per entrambi identico: economico. Alla faccia dei diritti civili e della causa tibetana. Io, nel piccolo del mio blog, vorrei solidarizzare sinceramente con il Dalai Lama e con la causa dell’indipendenza tibetana. Va ricordato che durante la Rivoluzione Culturale i cinesi uccisero 1200000 tibetani e distrussero oltre 6000 monasteri, di cui molti secolari. A tutt’oggi il XIV Dalai Lama è in esilio. A questo proposito consiglio la lettura di T. Terzani- “ La fine è il mio inizio " e la visione di " Sette anni in Tibet ".

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