martedì 11 dicembre 2007

Quale integrazione

Per iniziare inserisco una lettera che avevo inviato in data 07/11/2007 alla redazione di Anno Zero. Entrando nella sezione dedicata alle lettere, la potete consultare nel sito della trasmissione con il titolo "Quale Integrazione?" . Vi riporto qui di seguito il suo contenuto.

Gentile Redazione, vi scrivo perchè sono preoccupato. Oggi sulla metropolitana ho assistito ad un dialogo che mi ha dato la misura di come l'intolleranza nella nostra società sia coperta da un leggero velo di Maya, pronto ad essere squarciato non appena un evento di cronaca vada a turbare la sensibilità pubblica. Il sunto della conversazione era che con "quella gente lì", indicando con tale perifrasi rom, rumeni ed estendendo il significato a tutti gli immigrati, ebbene, non possa esserci integrazione. Il termine "integrazione" merita un approfondimento. Se per integrazione si intende assimilazione di una cultura ad un'altra, credo che in una tale accezione il termine sia surrogato di prevaricazione. Se per integrazione, invece, si intende convivenza civile tra due culture diverse che trovano un punto di contatto, di scambio e di rispetto, allora il termine acquista un significato positivo e di grande prospettiva. Nel sentire comune, oggi, gli immigrati vengono percepiti come pericolo sociale. Il martellamento mediatico e la risposta politica hanno fomentato paure e odii repressi. Questi sono sintomi. Sintomi di una società malata. L'innalzamento dell'età media non si accompagna ad una prospettiva di vita qualitativamente accettabile. Precariato, salari e pensioni basse, perdita del potere d'acquisto per i redditi medi, sono principi generatori di insicurezza sociale. Insicurezza misurabile dall'approccio con cui, di questi tempi, si sta affrontando il tema immigrazione. La risposta politica dettata dall'ondata di indignazione a seguito del feroce episodio romano, corre il rischio di essere frettolosa e insufficiente. I fatti di Roma sono una tragedia assurda e insensata e tutta la mia solidarietà va ai famigliari della vittima. Bisogna, però, affrontare il problema in maniera lucida e razionale, per poter dare così una risposta che sia garanzia per tutti coloro che vivono sul territorio italiano. E' utile a questo fine il decreto "tolleranza zero"? Il decreto n 54 del 18 gennaio 2002 del Presidente della Repubblica all'art 1 com. 1 cita: "I cittadini di uno Stato membro dell'Unione europea hanno libero ingresso nel territorio della Repubblica, fatte salve le limitazioni derivanti dalle disposizioni in materia penale e da quelle a tutela dell'ordine pubblico, della sicurezza interna e della sanita' pubblica in vigore per l'Italia". E' bene poi tener presente che nel nostro paese più dell'80% dei reati rimane impunito. Io allora chiedo, servono altre leggi o, più semplicemente, basterebbe applicare alla lettera quelle che già ci sono? Il nuovo decreto offre più poteri ai prefetti che potranno così provvedere ad espulsioni più veloci. Non ci saranno espulsioni di massa ma, intanto, l'Unione europea sta monitorando il nostro paese. Con il nuovo decreto le espulsioni sono immediate nel caso in cui il soggetto costituisca un pericolo per la pubblica sicurezza. Non posso però fare a meno di chiedermi se un lavavetri sia o meno un pericolo sociale? Il mio non vuole essere un atteggiamento "paternalistico" a favore degli immigrati. Non concordo con chi si fa portavoce di una solitarietà ad oltranza. I cittadini stranieri, come quelli italiani, hanno diritti e doveri. Molto spesso, però, chiediamo che ottemperino ai secondi senza garantirne i primi. Il risultato è sotto gli occhi. Si sgomberano campi nomadi, si parla di tolleranza zero ed espulsioni più veloci, ma il crimine e l'illegalità non cessano di colpo. Politiche di inclusione, applicazione della legge e certezza della pena sono la soluzione. Tanto per gli stranieri, ma anche per gli italiani.

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