lunedì 17 dicembre 2007

Genova e la cultura

Sul sito mentelocale.it, in questi giorni è nata una querelle a proposito della mostra allestita da Maurizio Maggiani a Palazzo Ducale. La diatriba ha portato anche ad analizzare la politica culturale genovese. Io ho così voluto dare il mio contributo.

Premetto di non aver visto la mostra di Maggiani allestita a Palazzo Ducale, preferisco quindi concentrare l'attenzione sul dibattito inerente alla vita culturale genovese. Indubbiamente Genova ha bisogno di più appuntamenti di cartello. Al di là delle notti bianche, è necessaria una politica culturale più audace. La nostra città necessita di eventi che la stimolino non solo dal punto di vista economico, ma anche da un punto di vista intellettuale. Partendo dal 1992, a mio avviso, molto è stato fatto ma, molto (moltissimo), c'è ancora da fare. Ci vuole impegno, programmazione, ma, ahimè, anche fondi per garantire una continuità di proposte qualitativamente accettabili. Se è vero che il calendario 2007 al Palazzo Ducale ha visto come appuntamento principale la mostra su Luca Cambiaso, è pur vero che nell'anno precedente hanno trovato spazio proposte stimolanti: " Romantici e macchiaioli " e " Tempo Moderno ". Siamo lontani, putroppo, da Brescia, ma le mostre in questione, in modo particolare la prima, non avevano nulla da invidiare a " Gli impressionisti e la neve ", il più importante avvenimento della stagione culturale 2004-2005 in occasione delle Olimpiadi invernali a Torino. Ma è inutile guardare al passato. Genova, nonostante abbia mantenuto la tradizionale inclinazione commerciale, ha ormai decisamente orientato la prua verso il terziario. E' necessario, quindi, investire in servizi. E la cultura, in un certo qual modo è un servizio, un dono offerto alle persone. Non è opportuno dormire sugli allori o vivere di rendita. Ma la vocazione mercantilistica di questa città, non sono certamente io a scoprirla! Ed ecco quindi spiegata la mentalità cauta per natura, cronicamente scettica e timorosa di sbagliare, mugugnona, mentalmente pigra e terrorizzata non tanto dal mancato guadagno, ma piuttosto dalla possibile perdita. Questa impostazione caratterizza sia le classi che detengono il potere e che, come ovvio, hanno paura di perderlo, sia i ceti subalterni che, raggiunta la sopravvivibiltà, si chiudono a riccio e, impermeabili ad ogni stimolo esterno, positivo o negativo che esso sia, si adagiano sul presente, perchè, tutto sommato, c'è di peggio. Questo modo di fare, in certi casi, abbraccia anche la cultura genovese. E' molto difficile che si afferminino tendenze culturali ben definite. Ma la solitudine che tormenta l'intellettuale genovese, spesso è la palestra su cui si formano quegli animi sensibili e poetici, di cui F. De Andrè è il più fulgido esempio. Genova vive di fiammate: la Resistenza, il ' 60, il G8.
Nietzche così l'ha descritta: " Quando uno va a Genova è ogni volta come se fosse riuscito ad evadere da sé: la volontà si dilata, non si ha più coraggio di essere vili. Mai ho sentito l'animo traboccante di gratitudine, come durante questo mio pellegrinaggio attraverso Genova."
Il potenziale è immenso, va non solo valorizzato, ma possibilmente incrementato. E' vero, mancano avvenimenti ad ampio respiro che internazionalizzino la città, ma è pur vero che quello che abbiamo di più prezioso lo teniamo ben nascosto, inacessibile ai più. Van Cleve, Rubens, Caravaggio, Van Dyck, Strozzi, Durer, Reni, Guercino: bisogna aver pazienza, Genova ama nascondersi. I genovesi badano al sodo, ma, in una società d'immagine, la forma, purtroppo, ha la sua importanza. Genova non è morta, solo assopita.

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