giovedì 21 agosto 2008

Noi scegliamo i libri, o loro scelgono noi

Siamo noi a scegliere i libri, oppure sono loro a scegliere noi? Spesso mi è capitato che una circostanza, un particolare, una parola o un semplice ricordo mi abbiano avvicinato ad un autore piuttosto che ad un altro. Raramente entro in libreria senza avere le idee chiare. Spesso, invece, mi aggiro tra gli scaffali con fare sicuro: il libro mi ha già scelto, e a me non resta che acquistarlo. Direte: «leggere l'Ombra del vento ti ha fatto male, figlio mio». Mi piacerebbe rispondervi raccontando il modo in cui ho incontrato - ovviamente metaforicamente - Mordecai Richler.


Negli anni del liceo la mia mente era un spugna fertile che tratteneva, ma non rilasciava alcunché, non fruttificava. Le ore che seguivo più volentieri, senza per questo ottenere grandi risultati, erano quelle di storia e filosofia. Il professore, oggi diventato un caro amico, aveva la capacità di far entusiasmare gli alunni ricreando, attraverso le parole, il campo di una battaglia napoleonica o l'atmosfera di Torino quando la città ospitava Friedrich Nietzche. Ebbene, in queste ore ci venivano proposti e consigliati una miriade di titoli che noi, poco più che adolescenti, appuntavamo per compiacere l'ars oratoria del nostro prof. Uno di questi fu proprio La versione di Barney.

Terminai il liceo senza mai leggere il libro di Mordecai Richler. L'autore morì nel 2001 e, negli anni dell'università, cadde nei meandri del mio nulla cerebrale per riaffiorare quando meno me lo sarei aspettato. Fu mentre preparavo l'esame di Letteratura latina, che puntualmente avevo lasciato al termine del mio corso di studi, mentre mi aggiravo nei caruggi alla ricerca di un libro su cui studiare gli autori. Il cazzeggio è parte integrante della vita universitaria, così un giorno saltai lezione e, con la scusa di cercare il testo, mi diressi in san Luca. Entrato in libreria, una copertina rossa catturò la mia attenzione: La versione di Barney, di Mordecai Richler.
Di colpo mi vennero alla mente le lezioni degli anni prima e gli appunti che conservo tuttora nel solaio. Comprai il libro e lo divorai in pochi giorni. Le avventure di Barney Panosky, personaggio cinico ma incredibilmente attraente, distolsero la mia attenzione dallo studio. Mi appassionai ai suoi tre matrimoni, agli avvenimenti e agli incontri straordinari della sua vita, a quel finale a dir poco sibillino e al suo modo crudo di interpretare l'esistenza. Quelle pagine, comunque, cambiarono la mia: ogni istante è mutamento e, a maggior ragione, lo sono gli attimi spesi nella lettura. Da quel giorno mi innamorai della prosa dello scrittore canadese, senza però leggere nessun altro suo scritto.

E arriviamo a tempi più recenti. Lo scorso dicembre mi aggiravo per gli scaffali di una libreria per i tradizionali regali natalizi, quando ecco spuntare una copertina marrone e il mio occhio cadere su un autore conosciuto. Di nuovo lui, Mordecai Richler. Ho acquistato Solomon Gursky è stato qui, ma l'ho letto quando mi sono sentito pronto. Solo di recente ho terminato l'epopea dei Gursky e, anche in questo caso le morti di Solomon, una sorta di Montecristo canadese, e le vicende della sua famiglia, mi hanno stregato. Vi starete chiedendo il perché di questo racconto. Ebbene, non mi sottraggo. Nelle pagine di questo ultimo libro, graffiante e puntuale come al solito, Richler ha dato una risposta alla domanda con cui ho iniziato, a quell'interrogativo, forse un po' ingenuo, sulla nostra possibilità di scelta nei confronti dei libri: «se non io, chi? Se non ora, quando?», recita una pagina del diario di Solomon Gursky.
Ecco la soluzione. Forse.

1 commenti:

Anonimo ha detto...

"[...] L'eco di parole che crediamo dimenticate ci accompagna per tutta la vita ed erige nella nostra memoria un palazzo al quale - non importa quanti altri libri leggeremo, quante cose apprenderemo o dimenticheremo - prima o poi faremo ritorno."

Tratto da «L'ombra del vento»