lunedì 21 gennaio 2008

Il Papa e la Sapienza

Dopo aver letto il discorso che il Papa avrebbe tenuto all'Università La Sapienza di Roma, ho buttato giù questi pensieri.

Sicuramente sono encomiabili gli inviti del pontefice al rispetto per i non credenti, a non voler imporre la fede con autorità poiché "può essere donata in libertà".
Ma il problema, a mio avviso, è alla base. Scrivo queste righe con rammarico, con quel rincrescimento che è eredità della mia educazione cattolica.
Tutte le religioni monoteistiche, e nella fattispecie quella cristiana, hanno un impianto di base rigido e poco propenso al dialogo. Il motivo di questa affermazione è semplice. Creando una tavola di valori universali si costruisce una morale assoluta, si stabilisce cosa è bene e cosa è male e si procede poi alla spartizione di meriti e peccati. Ratzinger nel discorso mai tenuto a La Sapienza, avrebbe concluso con un riflessione sul ruolo pastorale della sua figura, ribadendo il suo impegno a "mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio".
Io non penso che qualcosa di trascendente possa essere sommo bene. Sono scettico di natura e metto in discussione ogni depositario di verità. Non so se Dio esista o meno, ma la verità non è qualcosa che taluni posseggano e altri no. Forse vivrò nell'errore, ma nessuno su questa terra può permettersi di dirmi che sto peccando. Un concetto, quello di peccato, che porta con se una valenza negativa, un senso di colpa con cui la cultura occidentale da sempre deve fare i conti.

Il concetto di colpa scaturisce dal riconoscimento della propria colpevolezza, ma se un atteggiamento, un pensiero o un fatto non vengono riconosciuti come errori o misfatti, il rimorso non dovrebbe scaturire. Esiste il peccato perché i peccatori si riconoscono tali.
Non mi sento peccatore se credo nell'uso del preservativo, non mi sento peccatore se penso che la legge sulla fecondazione assistita vada rivista, non mi sento peccatore se credo che la 194 non vada toccata. Il mio sistema di valori è diverso da quello di Joseph Ratzinger. E sono cosciente che la mia etica sarà diversa da chiunque legga queste righe, ma non ammanto di verità la mia visione del mondo. La mia è una delle tante possibili rappresentazioni della realtà. Arrogarsi il monopolio della verità è una forzatura del tutto umana.

Ratzinger avrebbe accennato anche al pensiero di Socrate, traendone le seguenti conclusioni: La verità ci rende buoni, e la bontà è vera: è questo l'ottimismo che vive nella fede cristiana.
Sinceramente credo sia una forzatura al pensiero del filosofo greco. Socrate affermava che la verità è sommo bene, non bontà. Si sarebbe chiesto che cosa fosse la bontà?
Ma soprattutto, il frutto più fecondo del suo interrogarsi era non giungere ad alcuna risposta, riconoscere l'impossibilità di possedere qualsiasi verità e mettersi alla ricerca. Non individuava un rimedio, poneva le basi dell'indagine filosofica.
E il suo punto di arrivo non era sicuramente ottimistico.

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