giovedì 25 giugno 2009

Manituana: quando la Storia è sbagliata




Manituana: una storia dalla parte sbagliata della Storia. Così recita la copertina del libro di Wu Ming. La vicenda, ambientata nel continente americano durante i primi vagiti della Guerra d’Indipendenza, è un ottimo spunto per riflettere sulla nascita degli Stati Uniti d’America. Il racconto del collettivo bolognese si concentra sulle vicende della cosiddetta Confederazione Irochese, nazione di nativi americani il cui territorio comprendeva parte dell’attuale Canada meridionale e del nordest degli Stati Uniti. All'interno di quest'area, da decenni, convivevano coloni e indigeni, un mondo meticcio abitato da indiani, irlandesi, scozzesi, tedeschi, protestanti e cattolici. Un pacifico e bellissimo Meltin' Pot che a breve sarebbe stato scosso dai rumori sempre più pressanti della guerra: la cosiddetta Rivoluzione Americana. Lealisti contro miliziani, esercito regio contro coloni, inglesi contro americani. Il succedersi degli eventi chiamerà così la Confederazione ad una scelta: fedeltà a Re Giorgio o alle milizie coloniali?

La tradizionale versione accademica, soprattutto in virtù della filosofia illuminista ed empirista, propone di questo periodo un racconto che pone particolare enfasi all'anelito libertario che mosse le 13 colonie d'oltreoceano. A me, invece, piace porre l'accento su quelli che furono i veri motivi dell'indipendenza. Se di libertà si vuole parlare, in questo caso, è bene accompagnare il sostantivo con l'attributo economica. È indubbio, infatti, che il regime fiscale inglese, soprattutto dopo la Guerra dei 7 anni, fosse motivo di impedimento allo sviluppo coloniale americano. Non solo, ma l'atteggiamento di Buckingham Palace nei confronti dei sudditi d'oltremanica era paragonabile a quello che la corona aveva nei confronti di qualsiasi altra colonia: attenzione alla salute dell'impero, ma non ai singoli particolarismi regionali. Ma più profondi, a mio avviso, furono i motivi del malcontento coloniale. Ragioni da ricercare soprattutto nella procrastinata espansione territoriale.

Nel 1763, infatti, al termine del conflitto con i Francesi, Giorgio III emanò la cosiddetta Proclamation Line: l'intento inglese, al fine di stabilizzare i rapporti con i nativi americani, soprattutto con quelli che risiedevano nei territori ex-francesi, era quello di disciplinare l'espansionismo coloniale, ponendo gli Appalacchi come estremo confine occidentale. I coloni americani percepirono tale misura come un atto di dispotismo e di inaccettabile limitazione della libertà, soprattutto in virtù del recondito desiderio di appropriarsi delle mitiche terre occidentali. Da qui il malcontento verso una madrepatria che, a loro avviso, tutelava maggiormente gli interessi di 'selvaggi inferiori'. Se a queste, si sommano anche quelle più spiccatamente economiche, il quadro delle ragioni americane è completo.

Ed è in questo complesso scenario storico che si inserisce la storia di Manituana e della Confederazione Irochese. Una nazione che decise di rimanere fedele al Padre Inglese, soprattutto per motivi di mera sopravvivenza. L'atteggiamento di Londra, soprattutto nei confronti degli indigeni americani, molto assomigliava a quello che l'Impero Romano imponeva alle popolazioni assoggettate: concessione di una formale autonomia che ovviamente rispondeva a esigenze di controllo inglesi. Tale libertà, ovviamente, strideva con gli interessi e le brame di sviluppo delle colonie americane.

Nelle pagine di Wu Ming e nel tentativo degli Irochesi di opporsi alla libertà dei coloni, si può leggere chiaramente l'anticipazione del massacro indiano, di quel sangue di cui troppo spesso sono macchiate le mani delle moderne democrazie. L'autonomia dei futuri Stati Uniti d'America, passa sì dall'anelito libertario delle colonie, contrapposto all'autoritarismo tipico dell'Ancient Regime, ma passa anche per quelle istanze tipiche del capitalismo che, troppo spesso, guardano al sacrificio del più debole come un effetto collaterale lungo la strada dello sviluppo.

Nelle pagine di Manituana il rozzo possidente Jonas Klug acquisisce con l'inganno terre indiane da secoli nelle mani degli indigeni della valle del Mowack. È l'alcool il grimaldello con cui li droga. Terra, sempre la terra. Chissà se il diritto naturale alla proprietà sia davvero il lavoro: gli indiani non la pensavano così e sono stati sterminati.
Parafrasando Fabrizio De Andrè: davvero una Storia sbagliata.

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