mercoledì 29 luglio 2009

Quale stadio possibile?




È stato un video su Youtube a farmi porre veramente la domanda: è necessario a Genova un nuovo stadio? Lo studio in questione, realizzato da Studio r.b.z, prevede un progetto di riqualificazione della Val Bisagno: copertura del torrente, nuovi spazi verdi, ottimizzazione della viabilità con linea del tram, 600 posti moto e 1200 per le auto, ingresso alternativo per i pullman delle squadre e nuovi spazi per le tifoserie ospiti. Condizione necessaria affinché lo sviluppo sia davvero fattibile, ovviamente, è l’abbattimento delle carceri.

Il video circolato in rete pone sicuramente degli interrogativi circa la sua effettiva realizzabilità, soprattutto la copertura del Bisagno e l’alluvionalità della zona destano più di una preoccupazione, ma l’alternativa di un nuovo impianto a Sestri Ponente, lascia comunque non pochi dubbi. L’ipotesi di una Tazza con annesso centro commerciale, del tutto avulsa dal tessuto sociale cittadino, in una zona da sempre congestionata dal traffico, pone con estrema rilevanza la seguente domanda: quale giovamento ne avrebbe la cittadinanza?

Oltre ai guadagni che ne trarrebbero i privati, Preziosi e Garrone in primis, in molti sostengono la bontà di tale causa adducendo un incremento dei posti di lavoro: in tempo di crisi, però, la risposta della città non credo debba passare esclusivamente attraverso l’edificazione, a meno che il tanto pubblicizzato Urban Lab e il concetto di città partecipata non comprendano la Gronda e il nuovo stadio. Quale è il modello che Genova vuole seguire?

Forse sarò il solito bolscevico o anarco-insurrezionalista, ma credo che la città abbia bisogno di luoghi, non di isole. Di posti dove aggregarsi e discutere, non di lager in cui spendere. Perché di questo stiamo parlando: lo stadio è una scusa, il centro commerciale annesso è il vero obiettivo. Ristoranti, negozi e shopping prima della partita, ma di cosa stiamo parlando?
Di ingrossare le tasche di imprenditori già titolari di veri imperi.

È questa l’urbe che vogliamo, una città a misura di macchina e banconota?
Non voglio passare per retrogrado o genoano, ma Genova deve dare un segnale di discontinuità: se la linea europea è quella che conduce all’Emirates Stadium, non è detto che noi si debba seguire lo stesso indirizzo.
L’Italia non è l’Inghilterra, e con un po’ di programmazione si possono raggiungere ugualmente grandi traguardi sportivi. Genoa e Sampdoria, del resto, non sono proprio ai margini del mondo calcistico continentale. Sacrificare la vivibilità cittadina in nome della viabilità o del pallone, beh, non avverrà con il mio assenso.

A proposito: quest’anno ho rinnovato l’abbonamento per l’ennesimo anno!

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